Paleolitico Antico: recuperato l’antico DNA di una donna da un ciondolo

I ricercatori sono riusciti a estrarre il DNA di una donna dalla donna che probabilmente ha realizzato e indossato il ciondolo costituito da un dente di un cervo di 20.000 anni fa, rinvenuto in Russia
MeteoWeb

E’ stato recuperato per la prima volta del Dna umano da un ciondolo del Paleolitico realizzato con un dente di cervo di 20.000 anni fa. E’ stato rinvenuto nella grotta di Denisova in Russia. Il genoma appartiene a una donna di origine euroasiatica che ha indossato il pendente stesso. Queste sono le conclusioni di una ricerca di cui si parla in un articolo recente sulla rivista Nature. Lo studio è stato condotto da un team internazionale di esperti che comprende anche il premio Nobel Svante Paabo e l’archeologa Tsenka Tsanova, ad oggi in Italia all’Università di Bologna.

Un ciondolo risalente al Paleolitico Antico

Questo team è stato il primo a sviluppare un metodo d’avanguardia non distruttivo che permette di estrarre il DNA da antichi manufatti che ha permesso all’identità di chi li possedeva in passato. Di particolare interesse sono gli oggetti realizzati con ossa o denti di animali. Difatti, questo tipo di materiali porosi possono trattenere tracce di fluidi corporei contenenti DNA, come sudore, sangue o saliva. Per non alterare l’antico materiale scheletrico, i campioni sono stati immersi in una soluzione tampone di fosfato di sodio aumentando gradualmente la temperatura.

Il DNA intrappolato viene rilasciato nella soluzione e può essere sequenziato e analizzato. Gli esperti hanno usato questa procedura per analizzare un ciondolo realizzato con un dente di cervo ritrovato nella grotta di Denisova, nella Siberia meridionale.

Le conclusioni dello studio

Hanno così recuperato il DNA di un wapiti (una specie di cervo) e di un antico essere umano, nel dettaglio di una donna che aveva una stretta relazione genetica con un gruppo di individui dell’Eurasia settentrionale (in precedenza erano stati trovati solo più a est in Siberia).

Secondo queste analisi, il pendente risale a un periodo compreso fra 19.000 e 25.000 anni fa. I ricercatori hanno evitato la distruzione del campione provocata dalla datazione al radiocarbonio. Gli autori dello studio suggeriscono però agli archeologi di applicare dei protocolli che riducano al minino la manipolazione degli oggetti durante e dopo lo scavo, in modo da evitare possibili contaminazioni del DNA superficiale.

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