Comprendere i processi che precedono e seguono un evento eruttivo: questo l’obiettivo del lavoro “Magma transfer at Campi Flegrei caldera (Italy) after the 1538 AD eruption”, condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre. Attraverso la creazione di un dataset unico nel suo genere, comprendente i dati delle variazioni del livello del suolo dei Campi Flegrei prima, durante e dopo l’ultima eruzione del 1538, quella che ha determinato la formazione di Monte Nuovo, i vulcanologi sono giunti a definire il comportamento del vulcano nell’alternanza delle sue fasi di attività.
“Oggi le deformazioni del suolo associate all’attività vulcanica vengono monitorate sia con i satelliti che con delle reti di rilevamento installate a terra. Tuttavia, ancora molto poco sappiamo del comportamento dei vulcani e delle loro eruzioni avvenute nel passato, prima dell’avvento dell’era strumentale” afferma Elisa Trasatti, ricercatrice dell’INGV e primo autore della ricerca. “In particolare”, prosegue la ricercatrice, “esistono vulcani, come i Campi Flegrei, che hanno avuto l’ultima eruzione in tempi in cui non esistevano strumentazioni scientifiche per la rilevazione di questi fenomeni e ciò comporta – oggi – una limitata possibilità di comprenderne a fondo il comportamento prima e dopo gli eventi eruttivi”.
Per definire ciò che è accaduto prima, durante e dopo l’unica eruzione della caldera flegrea analizzabile storicamente, quella del 1538, i ricercatori hanno considerato un dataset unico al mondo, formato da dati geologici, archeologici e storici al fine di ricostruire le variazioni del livello del suolo lungo la costa tra il 1515 e il 1650.
“L’applicazione di modelli matematici per simulare il sistema magmatico dei Campi Flegrei ha permesso di comprendere il comportamento dell’apparato vulcanico nelle diverse fasi di attività. E’ emerso che l’eruzione è stata preceduta da una intensa deformazione del suolo che ha riguardato prima l’area di Pozzuoli, poi si è localizzata nell’area della futura bocca eruttiva raggiungendo 20 metri di sollevamento. Dopo l’eruzione, dal 1538 al 1540, la caldera è stata interessata da fenomeni di subsidenza mentre dal 1540 al 1582, per più di 40 anni, è avvenuto un sollevamento del suolo prima di entrare in una nuova fase di subsidenza che reputiamo sia durata fino a metà del XX secolo”, aggiunge Elisa Trasatti.
“I modelli hanno evidenziato che durante l’eruzione c’è stato un trasferimento di magma tra una sorgente posta a circa 4 km di profondità verso la bocca eruttiva di Monte Nuovo e che nel periodo successivo connotato dal sollevamento del suolo, questo fenomeno si è ripetuto a causa della risalita di nuovo magma, senza però che raggiungesse la superficie. Tale fenomeno è stato definito ‘eruzione abortita’”, prosegue Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV (INGV – OV) e coautore dello studio.
“Un ulteriore aspetto degno di nota riguarda le stime effettuate sui volumi di magma coinvolti, laddove è stato stimato che la porzione di magma eruttato nel 1538 è un centesimo circa di quella che si è accumulata sotto il vulcano tra il 1250 e il 1650. Questo fatto evidenzia la forte capacità del sistema flegreo di trattenere il magma, eruttando una porzione minima”, aggiunge Valerio Acocella, professore dell’Università Roma Tre e coautore della ricerca.
“Studiare il passato è fondamentale per comprendere al meglio la dinamica attuale. I dati geologici, stratigrafici, archeologici, e storici sono una fonte insostituibile di informazione che si integra bene con i dati raccolti dalle strumentazioni che operano quotidianamente per il monitoraggio del vulcano. L’integrazione dei dati ha permesso di ottenere un database di circa 2000 anni di deformazione del suolo ai Campi Flegrei, uno dei traccianti della dinamica del vulcano”, conclude Mauro A. Di Vito.
I dati della ricerca, così come i risultati e i codici di modellazione utilizzati, sono liberamente consultabili. La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile, rappresentando un contributo potenzialmente utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile. Al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.