Così il Jet Stream ha portato il fumo degli incendi in Canada sull’Italia: immagini spettacolari dai satelliti | FOTO e VIDEO

Le immagini, spettacolari e inquietanti al tempo stesso, dell'enorme nube di fumo provocata dagli incendi in Canada sui cieli italiani
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I cieli dell’Italia sono oggi parzialmente offuscati dall’abbondante presenza del fumo degli incendi che nelle scorse settimane hanno colpito il Canada. Già nei giorni scorsi l’enorme nuvola di fumo generato dagli incendi nord americani aveva attraversato l’oceano Atlantico, raggiungendo in modo imponente nella giornata di ieri la penisola Iberica tra Spagna e Portogallo.

Oggi l’arrivo in Italia, con cieli offuscati da questa grande nube di fumo soprattutto in Sardegna e nelle Regioni tirreniche sin dalle prime ore del mattino. Uno scenario clamoroso, se pensiamo che gli incendi in Canada si sono verificati ad oltre 7 mila chilometri di distanza dal nostro Paese.

Le immagini satellitari evidenziano l'enorme nube di fumo degli incendi in Canada da questa mattina sull'Italia

A determinare quest’enorme spostamento è stato il Jet Stream, noto anche come Corrente a Getto, che è un elemento fondamentale della climatologia planetaria. Vediamo di che si tratta, mentre purtroppo gli incendi in Canada continuano a bruciare vaste aree e probabilmente nei prossimi giorni questa nube di fumo verrà ulteriormente alimentata.

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Che cos’è il Jet Stream

La “Corrente a getto”, meglio nota in inglese con il termine di “Jet Stream”, non è altro che un intenso flusso d’aria, di sezione piuttosto ristretta, che spira con notevole intensità nell’alta troposfera, lungo il limite meridionale con la bassa stratosfera. Spesso sottovalutata nell’ambito meteorologico la “Jet Stream” produce degli effetti determinanti nel complesso meccanismo climatico del nostro pianeta. Il suo andamento predispone la formazione delle varie figure bariche che influenzano l’andamento meteo/climatico nell’intero emisfero. Fu scoperta per la prima volta solo agli inizi del novecento dai meteorologi inglesi. Ma i primi a studiarla e catalogarla furono proprio i meteorologi giapponesi. Su tutti spiccano i primi studi e monitoraggi del meteorologo nipponico, Wasaburo Ooishi, che fu il primo a notare la presenza di fortissimi venti in alta quota che spingevano verso l’oceano Pacifico i primi palloni meteorologici che periodicamente venivano sganciati dalla stazione del monte Fuji.

Jet Stream
Flusso ondulato della “Jet Stream” suopra il nord-America

Nel periodo compreso fra il 1922 e il 1925, Wasaburo Ooishi, osservando lo spostamento dei palloni aerostatici sganciati sul monte Fuji, elaborò una serie di studi dettagliati sull’andamento e la velocità dei venti in quota che scorrevano sopra l’isola di Honshù, la principale dell’arcipelago giapponese. Purtroppo questi studi, i primi nella storia della meteorologia, furono sottovalutati o snobbati dai meteorologi europei e dalla stessa “Organizzazione Meteorologica Mondiale” (World Meteorological Organization), che ricordiamo fu fondata nel lontano 1873. Solo durante la seconda guerra mondiale, con l’apertura del fronte del Pacifico, che vide contrapposti gli Stati Uniti al Giappone, gli studi di Ooishi furono utilizzati dai militari giapponesi con gli attacchi dei cosiddetti “Palloni bomba” verso le coste occidentali degli USA, nonostante lo scetticismo di Hidetoshi Arakawa, lo scienziato giapponese a capo del progetto. Secondo Arakawale le misurazioni di Ooishi non potevano essere utilizzati per l’intero oceano Pacifico. Nonostante ciò l’aviazione giapponese fu in grado di spedire nell’alta troposfera dei palloni aerostatici che trasportavano ordigni esplosivi o incendiari.

Questi palloni aerostatici, definiti “Palloni bomba”, una volta saliti nell’alta troposfera venivano agganciati dal ramo principale della “Jet Stream” che scorreva sul Pacifico settentrionale, raggiungendo con una certa facilità le coste occidentali degli USA, tra il nord della California e lo stato dell’Oregon, per esplodere una volta a contatto con la terra ferma. Sempre nel corso della seconda guerra mondiale la “Jet Stream” causò molti problemi ai piloti della storica “Royal Air Force” (aviazione militare britannica) che durante un bombardamento nel dipartimento francese della Gironda incrociarono fortissimi venti occidentali ad oltre i 380 km/h che causarono uno stallo di posizione dei loro velivoli, tanto che i membri dell’equipaggio ormai impossibilitati ad andare avanti furono costretti a paracadutarsi nel territorio occupato della Repubblica di Vichy, venendo catturati dai tedeschi. Ma anche i più esperti piloti della famosa “United States Army Air Forces” (forza aerea degli USA tra il 1941 e il 1947) ebbero non pochi problemi durante i raid nelle città del Giappone. Spesso gli stormi degli aerei americani, muovendosi lungo il Pacifico, dove erano posizionate le principali portaerei, incontravano nel loro cammino il ramo della “Corrente a getto”, con venti ad oltre i 250-300 km/h, che rallentavano notevolmente il loro spostamento verso le terre nipponiche, costringendoli a ripiegare verso nuove rotte.

L’origine della “Jet Stream”; le caratteristiche principali e la sua diffusione a livello planetario

La caratteristica principale della “Corrente a getto” è che, oltre ad essere molto violente, la sua forza si concentra lungo un asse quasi orizzontale situato al confine fra l’alta troposfera e la parte più bassa della stratosfera. All’interno di questo asse orizzontale, su cui agisce la “corrente a getto”, si sviluppano forti gradienti verticali e laterali dell’intensità del vento che presenta uno o più massimi di velocità, definiti “Jet Streak“. Di solito la lunghezza della “Corrente a getto” è di diverse migliaia di chilometri, mentre la sua larghezza si aggira intorno a qualche centinaia di chilometri o anche meno. Per questo l’individuazione della “Jet Stream” viene agevolata dalla presenza di flussi d’aria che presentano delle tipiche forme a meandro, ben esaltate anche dalle moviole satellitari. Questi flussi sono organizzati in “getti” uniti fra loro che non sono distribuiti a larga scala nell’intero emisfero Le correnti a getto principali sono quella polare (getto polare), che agisce solitamente tra i 30° N e i 70° N, e quella sub-tropicale (getto sub-tropicale), che troviamo in azione attorno i 20° N e i 50° N (le stesse coordinate valgono anche per l’emisfero australe).

Tra l’autunno e la primavera boreale capita spesso che il ramo principale della “Corrente a getto sub-tropicale” che scorre sopra l’Atlantico, dopo aver attraversato l’Africa settentrionale e la penisola Arabica, continui il suo cammino lungo l’Asia meridionale, dall’Iran fino al Pakistan, investendo in pieno pure le massime vette della catena montuosa dell’Himalaya (gli over 7000 e 8000 metri), tra cui anche l’Everest, il famoso tetto del mondo con i suoi 8848 metri. Durante questo periodo le cime dell’Himalaya vengono letteralmente spazzate dal cosiddetto asse inferiore del potente flusso d’aria, che impattando con le vette, determina considerevoli turbolenze, con condizioni eoliche davvero estreme. La velocità del vento può raggiungere picchi talmente violenti da riuscire a sollevare enormi quantità di neve depositata, trasportandola da un versante all’altro.

Il getto sub-tropicale risulta più forte di quello polare. Oltre al getto polare e al getto sub-tropicale, in realtà, vi è anche una terza corrente che è la “Corrente a getto tropicale orientale” che durante l’estate boreale si localizza fra la fascia equatoriale e i 20° N. Il ramo della “Corrente a getto tropicale orientale” che scorre sopra l’Africa centro-settentrionale viene definito “African easterly jet”, ed è molto importante un suo monitoraggio durante l’estate boreale visto che proprio in seno a questo sostenuto flusso orientale in quota si annidano le “tropical waves” o i sistemi temporaleschi che dalla regione del Sahel finiscono in Atlantico, evolvendosi in depressioni o tempeste tropicali pronte a trasformarsi in insidiosi uragani diretti verso i Caraibi o le coste degli USA. Secondo alcuni studi le “Correnti a getto” si sviluppano a seguito della formazione di grossi “gradienti termici orizzontali” che, a loro volta, determinano importanti squilibri barici e di geopotenziali fra masse d’aria notevolmente differenti fra loro. In queste condizioni, se una delle masse d’aria giace poco a nord dell’altra, il vento non fluirà direttamente dall’area fredda a quella calda, ma verrà deflesso dalla nota forza di Coriolis (bilancio geostrofico) e fluirà con grande intensità lungo la linea di demarcazione tra le differenti masse d’aria, li dove si localizzano i “gradienti termici e barici“ più intensi. Scorrendo a grandissima velocità nell’alta troposfera e nella parte bassa della stratosfera, dove l’influenza orografica è pressoché nulla, tali flussi d’aria assumono un andamento pienamente lineare per diverse migliaia di chilometri, percorrendo indisturbate l’intero emisfero, in genere con un andamento da ovest ad est. La “Jet Stream” inoltre ha un ruolo molto fondamentale anche per quel che concerne i collegamenti aerei fra i vari continenti. Ad essa si associano pure tutti quei fenomeni, come i tanto temuti (soprattutto dai piloti dei voli intercontinentali) Clear Air Turbulence, ossia le turbolenze in aria limpida, generate dal “Wind Shear” orizzontale e verticale interno alla forte corrente.

L’importanza della “Corrente a getto” nella meteorologia sinottica

La superficie isobarica di 300 hpa solitamente si trova attorno i 9000 metri di quota. Proprio a queste altitudini, cosi elevate, si posiziona il ramo principale della “Corrente a getto”, in particolare il getto polare. Pertanto le zone dove si concentrano i massimi “gradienti termici” e i “gradienti di geopotenziali” indicano il posizionamento del “getto”. Il getto sub-tropicale che influenza il tempo sul Mediterraneo e sull’Italia, specie durante la primavera e il periodo estivo, si posiziona ad una quota superiore rispetto al getto polare ed è individuabile dalle mappe a 250 hpa. Oltre al getto polare è importante conoscere le zone di massima velocità della “Jet Stream” che vengono chiamate con il termine di “Jet Streak”. I “Jet Streaks” sono fondamentali nella meteorologia sinottica dato che ad essi sono associate le zone di massima avvezione di vorticità positiva (prevalentemente da “Shear”) che determinano le divergenze in quota e quindi l’intensificazione dei sistemi frontali o l’approfondimento dei minimi barici nei medi e bassi strati.

L’importanza dell’analisi del “getto” sta nel fatto di poter determinare le sue eventuali interazioni con i medi e bassi strati dell’atmosfera. E’ importante, per non dire fondamentale, individuare i “Jet Streak” perché nel settore sinistro della regione di uscita e nel settore destro della regione d’entrata del “getto” si generano i moti convettivi (correnti ascensionali) che favoriscono lo sviluppo di fronti nuvolosi e linee d’instabilità. Al contempo, nel settore destro della regione di uscita e nel settore sinistro della regione d’ingresso si formano i moti discendenti, che inibiscono la nuvolosità portando condizioni di maggiore stabilità. Questi moti verticali delle masse d’aria che si sviluppano lungo le aree di divergenza del “getto” possono destabilizzare l’atmosfera fin dai bassi strati, determinando delle ciclogenesi o eventi temporaleschi a mesoscala. In base alla posizione relativa della “Jet Stream” rispetto ad un sistema frontale si può anche valutare se un fronte freddo sia di tipo anabatico, catabatico o del tipo “split front”:

  1. Anabatico; se il “getto” scorre parallelamente al fronte freddo nel settore pre-frontale.
  2. Catabatico; se il “getto” scorre sopra il fronte freddo, con un’inclinazione rispetto a quest’ultimo.
  3. “Split front”; nel caso in cui il “getto” e il fronte freddo siano perfettamente ortogonali fra di loro.

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