Inserimento nei LEA (livelli essenziali di assistenza) e incremento del numero di pazienti candidate per ridurre, quando possibile, l’uso della chemioterapia. A quasi due anni dal decreto attuativo del Fondo di 20 milioni di euro per l’acquisto dei test genomici per il tumore del seno, gli specialisti chiedono un salto di qualità e un’uniforme e diffusa distribuzione di questi esami in modo omogeneo in tutta Italia. L’appello, alle istituzioni sanitarie italiane, arriva in occasione della seconda giornata del Congresso 2023 della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) che anche quest’anno si svolge a Chicago. “I test genomici sono finalmente disponibili sull’intero territorio nazionale e stanno entrando sempre di più nella pratica clinica – afferma il Prof. Saverio Cinieri, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) -. Sono esami che identificano le pazienti che trattate con la sola terapia endocrina si mantengono libere da recidiva a distanza di 10 anni dalla diagnosi. Questo comporta che, dopo l’intervento chirurgico, non è necessario il ricorso ad una cura invasiva come la chemioterapia. Riteniamo perciò opportuno l’ingresso dei test nella lista delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini. Il provvedimento rappresenterebbe un modo per incentivarne l’utilizzo e la medicina personalizzata nel trattamento della neoplasia più frequente in Italia. Ogni anno sono oltre 55mila le donne che si ammalano di tumore del seno e di queste 10mila hanno diritto al rimborso del test”.
“Si tratta di una stima effettuata alla fine del 2020 – afferma il Prof. Francesco Cognetti, Presidente della ConFederazione Oncologi Cardiologi Ematologi (FOCE) -. In quell’occasione la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, nell’esame della Legge Finanziaria, approvò su iniziativa e proposta di FOCE la creazione di un fondo di 20 milioni l’anno. Relatore dell’emendamento fu l’Onorevole Vito De Filippo e il fondo è stato poi automaticamente replicato nel corso del 2021 e del 2022. FOCE è stata anche recentemente ascoltata dalla Commissione nazionale aggiornamento LEA alla quale ha formalmente proposto l’inserimento dei test genomici nei LEA. Entro fine anno è prevista la pubblicazione ufficiale dei nuovi Livelli Essenziali d’Assistenza. Attualmente nell’utilizzo degli esami si registrano degli squilibri a livello regionale. Inoltre il numero di donne che potrebbero utilizzare i test genomici è sensibilmente superiore”.
“Per quantificare il setting di pazienti ci si è basati su esperienze precedenti al 2020 – prosegue il Prof. Cinieri -. Dopo quasi tre anni di lavoro, in tutta la Penisola, possiamo ritenere che il potenziale numero di donne da testare sia più alto. Non va dimenticato che l’Italia è arrivata decisamente in ritardo all’uso regolare dei test genomici. Quest’ultimi poi consentono anche vantaggi economici importanti al comparto della sanità. Permettono risparmi per il mancato acquisto di farmaci chemioterapici e per ospedalizzazioni evitate. Per tutti questi motivi chiediamo al più presto l’inserimento nei LEA”.
Durante l’evento internazionale di Chicago sono inoltre stati presentati nuovi studi scientifici che confermano i benefici dello screening con indagini molecolari, in particolare nel carcinoma del colon, ma anche in altri tipi di tumori. Personalizzare la cura, utilizzando tutte le nuove tecnologie, sta dimostrando tutti i suoi vantaggi, come si è visto ulteriormente all’ASCO. Nell’ambito del carcinoma mammario la disponibilità di esami di medicina personalizzata in grado di definire il profilo molecolare del carcinoma mammario è ben consolidata. In particolare a Chicago vengono illustrati i dati di nuove analisi sull’Oncotype DX.
“E’ un test che classifica i tumori con recettori ormonali positivi ed HER2-negativo in base ad un “recurrence score” che varia da 0 a 100 – prosegue il Prof. Francesco Cognetti -. Sono stati presentati i dati a 9 anni su 10.000 pazienti con tumore mammario lobulare invasivo e 65.000 con carcinoma duttale invasivo testati con Oncotype DX. Lo studio ha confermato così le potenzialità del test progettato per prevedere la probabilità di recidiva e il beneficio della chemioterapia nelle pazienti con malattia in fase iniziale. Dall’analisi svolta emerge che risultati elevati di “recurrence score” corrispondono ad alti tassi d’utilizzo della chemioterapia e al rischio di mortalità specifica per neoplasia mammaria. Queste correlazioni sono poi risultate indipendenti dall’interessamento o meno dei linfonodi. Secondo il precedente studio RxPONDER questo vale per le donne dopo la menopausa mentre per le più giovani rimane, nella maggioranza dei casi, l’indicazione per la chemioterapia. Il nostro obiettivo è sempre quello di evitare la somministrazione di farmaci chemioterapici non utili con risparmi per la singola paziente e l’intero sistema sanitario nazionale”.Le nuove frontiere, nella diagnostica molecolare del carcinoma mammario precoce, sono poi rappresentate dal ruolo dei marcatori molecolari correlati alla trascrizione ormonale e dal microambiente del tumore che favorisce i processi di disseminazione metastatica. Altro campo di grande prospettiva è il ruolo dei biomarkers molecolari rinvenibili nel sangue: cellule tumorali circolanti e DNA circolante (o ctDNA). Il ruolo prognostico di questi due elementi è consolidato ma non vi è ancora un’utilità clinica che ci consente di guidare l’imaging e le decisioni terapeutiche”.
“Un numero crescente di donne può ottenere giovamento dal ricorso ai test genomici – conclude Cinieri -. Al tempo stesso i clinici italiani possiedono ora un nuovo ed efficace strumento che può coadiuvarli alla scelta terapeutica più appropriata. Prevedere il rischio di recidiva del tumore attraverso l’analisi di alcuni geni all’interno delle cellule tumorali è una realtà dimostrata da numerosi studi scientifici condotti in tutto il mondo”.