Oggi è l’ultima giornata dei colloqui sul Clima a Bonn (Germania), che saranno importanti per preparare la 28ma conferenza mondiale sul Clima (Cop28). Tuttavia, fino ad oggi sono stati caratterizzati da profondi divisioni, col rischio sostanziale di un fallimento in assenza di accordo finale sull’agenda della conferenza che il prossimo 30 novembre si aprirà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
Ci sono inoltre sostanziali segni di un’estrema sfiducia nei confronti del presidente della conferenza, il sultano Ahmed Al-Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati e amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Abu Dhabi National Oil Company. Prima di oggi, non è mai accaduto che un presidente di un gruppo petrolifero o di una compagnia abbia avuto la responsabilità di presiedere i negoziati sul Clima.
Le preoccupazioni per l’ultimo giorno negoziati per Cop28
Si tratta di un doppio mandato che solleva interrogativi, mentre il riscaldamento globale è causato principalmente dalla combustione di combustibili fossili, ovvero carbone, petrolio e gas. I colloqui sul clima, che solitamente si tengono annualmente a giugno, stanno destando non poche preoccupazioni in quanto il mancato accordo renderebbe difficili colloqui costruttivi alla Cop28.
Uno scenario simile risale al 2013, quando la Russia non ha dato il proprio consenso all’adozione dell’ordine del giorno in segno di protesta per il trattamento riservato alla precedente Cop a Doha (Qatar), nel novembre 2012. Se dovesse riproporsi una simile forma di protesta, i lavori in corso da due settimane tra rappresentanti di quasi 200 Paesi andranno totalmente sprecati, mentre la crisi climatica peggiora in modo evidente, come documentato dall’ultimo rapporto ONU diffuso nei giorni scorsi.
L’appello di Greta Thunberg
A questo proposito, è giunto l’appello di Greta Thunberg, per la quale la non eliminazione graduale dei combustibili fossili è una “condanna a morte” per milioni di poveri del mondo, già fortemente vulnerabili. Secondo l’attivista, solo l’eliminazione graduale “rapida ed equa” manterrà le temperature entro il limite di 1,5°C sopra i livelli preindustriali. Nel 2022 le emissioni annuali di gas serra hanno raggiunto i massimi storici.
“I prossimi mesi e anni – proprio ora – saranno cruciali per come sarà il futuro. E’ ciò che decidiamo ora che definirà il futuro del resto dell’umanità“, ha detto Greta in conferenza stampa ai colloqui delle Nazioni Unite a Bonn. Altrettanto emblematico l’intervento di Nabeel Munir, pakistano, co-presidente dei colloqui di Bonn, che al termine di un incontro di due ore ha detto ai negoziatori che erano come “una classe di scuola elementare“, esortandoli a “svegliarsi, poiché quello che sta accadendo intorno a voi è incredibile“.
L’intervento di Nabeel Munir
Il responsabile ha ricordato che lo scorso anno 33 milioni di persone sono state colpite dalle inondazioni in Pakistan, aggravate dalla crisi climatica. “Un terzo del mio Paese è stato sott’acqua e io torno indietro e dico alla mia gente che abbiamo discusso dell’agenda per 2 settimane. Dai, ne vale la pena?“, ha deplorato Munir. Sollecitando un accordo rapido, il capo negoziatore dello Zambia, Ephraim Mwepya Shitima, ha avvertito che c’era il “pericolo” di perdere i progressi compiuti, intaccando “la credibilità del processo” e “persino interrompendo alcune delle funzioni critiche dell’agenzia delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico se lasciamo questi luoghi senza adottare l’ordine del giorno“.
Dal 5 giugno, nel contesto dei vari tavoli tecnici, i negoziatori hanno affrontato di volta in volta la questione della riduzione delle emissioni, la fine delle energie fossili, la scelta di soluzioni, il posto della tecnologia, l’adattamento ai cambiamenti climatici, e il tema centrale dell’assistenza finanziaria dei Paesi ricchi a quelli in via di sviluppo, per aiutarli a ridurre le loro emissioni di gas serra e far fronte agli impatti della crisi climatica.
La causa delle divisioni
Il motivo delle divisioni è proprio la questione finanziaria, con un gruppo di Paesi in via di sviluppo che chiede l’inserimento all’ordine del giorno di un punto specifico sull’ “aumento urgente del sostegno finanziario da parte dei partiti dei Paesi sviluppati“. Una proposta alla quale si oppongono Paesi sviluppati – tra cui Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito – e anche una parte di quelli più vulnerabili, argomentando che questo nuovo punto è stato proposto troppo tardi e che di finanza si discute in altre sedi dei colloqui sul Clima, incluso il programma di lavoro sulla mitigazione che la Bolivia e altri lo stanno bloccando.
Questo secondo gruppo vuole invece un punto all’ordine del giorno sui colloqui, noto come programma di lavoro sulla mitigazione, per ridurre le emissioni e dare al mondo una migliore possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Quest’altra proposta è stata respinta dal primo gruppo se non viene inserito all’ordine del giorno il punto relativo al sostegno finanziario.
I tentativi di negoziazione di Pedro Luis Pedroso Cuesta
Parlando a nome del gruppo G77+Cina, che comprende tutti i Paesi in via di sviluppo, il negoziatore cubano Pedro Luis Pedroso Cuesta ha detto che un punto all’ordine del giorno sulla finanza era “a lungo atteso” poiché “la finanza promessa non c’era dal 2009“, deplorando un mancato inserimento all’ordine del giorno della Cop28. Nel 2009, i Paesi sviluppati hanno promesso collettivamente di fornire 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli a ridurre le emissioni e ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
Non sono riusciti a farlo e devono ancora raggiungere questo obiettivo, probabilmente entro quest’anno. Ma, per Cuesta, la promessa di 100 miliardi di dollari è una “frode” in quanto i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di un sostegno tra 6 mila e 100 mila miliardi di dollari.
I nuovi obiettivi finanziari per il Clima
Alla Cop28, i Paesi rinnoveranno le discussioni su un nuovo obiettivo finanziario per il Clima che dovrebbe essere adottato entro il 2024, in sostituzione quindi del precedente obiettivo finanziario di 100 miliardi di dollari. Ma i negoziati alla Cop27, lo scorso anno, non hanno ancora risolto questioni sostanziali, come l’importo esatto del nuovo obiettivo.
Il gruppo arabo ha invece proposto un nuovo obiettivo di 1,1 trilioni di dollari all’anno entro il 2030, mentre un rapporto commissionato dalla presidenza britannica della Cop26 aveva stimato che un importo simile di 1 trilione di dollari sia necessario ai Paesi in via di sviluppo (Cina esclusa) per ridurre le emissioni e adattarsi agli impatti climatici.
Le mosse dell’Arabia Saudita
“Le discussioni sono molto complicate su tutti gli argomenti“, ha commentato un negoziatore europeo. La Cina mette in dubbio l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’Arabia Saudita prova a fare marcia indietro su tutti i fronti e diventa sempre piu’ aggressiva. In un contesto geopolitico che rimane molto teso, tra la guerra in Ucraina e la crisi energetica, “nessuno è pronto a scendere a compromessi“, si rammarica la fonte citata dal quotidiano “Le Monde“.
Dopo Bonn, tutti gli occhi sono già puntati sul vertice per un nuovo patto finanziario globale, organizzato dal presidente Emmanuel Macron il 22 e 23 giugno a Parigi, che punta a riformare il sistema finanziario internazionale per rispondere all’emergenza climatica, ma anche l’accesso alla salute e la lotta alla povertà.
Possibili soluzioni e strategie
Le soluzioni potrebbero risiedere in nuovi finanziamenti – come una tassa sulle transazioni finanziarie o sul settore marittimo – o nella ristrutturazione del debito per i Paesi colpiti da calamità. Se la prossima conferenza sul Clima Cop28 è tanto attesa è anche perché sarà l’occasione di una prima valutazione globale dell’azione per il Clima.
Previsto dall’Accordo di Parigi del 2015, questo appuntamento consentirà di valutare gli sforzi di Stati, comunità e imprese per ridurre le emissioni di gas serra, adattarsi ai cambiamenti climatici e aumentare i finanziamenti. Questa valutazione dovrà soprattutto definire le soluzioni per correggere la traiettoria, mentre le attuali promesse dei Paesi portano il pianeta verso un riscaldamento di 2,5°C a fine secolo, lontano dall’obiettivo di non superare 1,5°C. Pertanto sarà necessaria una revisione al rialzo degli impegni nazionali, prevista nel 2025, oltre a spingere gli Stati a prendere misure immediate.