In un articolo pubblicato su Science Direct, si esamina la tecnica “daytime radiative cooling” (DRC), o raffreddamento nelle ore diurne: sfrutta la differenza di temperatura tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno freddo. Questa procedura ha la funzione di ottenere il raffreddamento di una superficie senza bisogno di consumo di energia. Il processo avviene grazie al meccanismo di dissipazione del calore tramite l’emissione di radiazione termica in specifiche regioni regione dello spettro elettromagnetico, conosciute come finestre atmosferiche, che si estendono tra gli 8 e i 13 μm di lunghezza d’onda ed in altre aree ad oggi meno esplorate.
L’energia emessa in questa gamma di lunghezze d’onda, in condizioni ottimali, riesce ad attraversare l’atmosfera terrestre senza essere riflessa, trasferendo calore direttamente alla volta celeste che, per sua natura, è molto più freddo e capace di assorbire grandi quantità di calore Sfruttando questo processo, una superficie emittente può potenzialmente raggiungere una temperatura anche di molto inferiore a quella dell’atmosfera in cui si trova. Per intenderci, in una calda giornata estiva nei nostri climi, con temperatura dell’aria a 35°C, è possibile che i materiali di rivestimento in grado di produrre effetto DRC si trovino anche ad una temperatura superficiale di 20-30°C, come più volte dimostrato a livello sperimentale.
Lo sviluppo del metodo raffreddamento radiativo passivo diurno
Negli ultimi anni lo sviluppo di materiali funzionali per il raffreddamento radiativo passivo diurno (DRC) è diventato un’area di ricerca strategica nel campo della scienza dei materiali e della termodinamica applicata, che vede uno degli obiettivi principali di applicazione quello di elaborare sistemi di involucro urbano per ridurre il consumo energetico negli edifici e mitigare fenomeni climatici locali estremi quali l’isola di calore urbana (UHI), ovvero l’eccessivo aumento della temperatura dell’aria (e delle superfici antropizzate) all’interno delle città rispetto alle zone circostanti non urbane, più verdi e meno densamente popolate.
Le superfici dell’ambiente urbano, come le pavimentazioni, i tetti e le pareti degli edifici, occupano più dell’80% della pelle urbana esposta alla radiazione solare e, tendendo a surriscaldarsi maggiormente per le caratteristiche intrinseche scarsa riflettanza solare, chiaramente influenzano il bilancio energetico delle città e quindi esacerbano ancor più la vulnerabilità della popolazione urbana durante le ondate di calore estive, rispetto alle aree rurali.
Le isole di calore urbane
Inoltre, l’alta densità degli edifici e la presenza di strade e parcheggi limitano la circolazione dell’aria e ostacolano altri meccanismi benefici relativi ad esempio alla ventilazione naturale. Questi fattori contribuiscono ad aumentare la temperatura dell’aria e a creare una sorta di “isola” di calore, per l’appunto, che ha dimostrato di produrre effetti negativi sulla salute umana, aumentando il rischio di colpi di calore e malattie correlate alle ondate di calore, e sulla qualità dell’aria, aumentando la formazione di smog e inquinamento atmosferico, ancor più in aree già affette da povertà energetica.
Ecco perché viene considerata promettente la possibilità di scalare la tecnologia del raffrescamento radiativo diurno in ambito civile, poiché applicando sulle superfici costruite uno strato capace di effettuare lo scambio radiativo con lo spazio esterno, si potrebbe addirittura contribuire al raffrescamento dell’atmosfera terrestre.
I DRC con particelle distribuite, invece, sono costituiti tipicamente da due strati: uno polimerico più superficiale, contenente particelle come microsfere in biossido di silicio (SiO2), che conferisce al sistema l’elevata emissività nell’infrarosso, e un layer inferiore, di solito in alluminio, responsabile dell’elevata riflettanza. Quest’ultima tipologia di DRC è molto promettente per applicazioni urbane, grazie alla sua convenienza economica, sostenibilità e quindi potenziale scalabilità tecnico-economica.