Clima, nuovo studio del Prof. Scafetta conferma il ruolo determinante del Sole nel cambiamento climatico

Secondo un nuovo studio del Prof. Scafetta, "l'80% circa dell'influenza solare sul clima potrebbe non essere indotta dal solo forcing dell’irradianza solare totale, ma piuttosto da altri processi del clima solare"
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“Il ruolo del Sole nel cambiamento climatico è oggetto di accesi dibattiti. Alcuni studi suggeriscono che il suo impatto sia significativo, mentre altri suggeriscono che sia minimo. L’enigma sembra derivare da due tipi di incertezze: le variazioni pluridecadali e secolari dell’attività solare storica non sono note con precisione; e il Sole probabilmente influenza il clima della Terra attraverso una varietà di meccanismi fisici che non sono ancora completamente compresi e, quindi, mancano nei modelli climatici globali (GCM) disponibili”. È quanto riporta il Prof. Nicola Scafetta (Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Georisorse, Università degli Studi di Napoli Federico II) in un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Geoscience Frontiers”.

Il Gruppo Intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) sostiene che il ruolo del Sole nel cambiamento climatico sia minimo, continua Scafetta nel suo studio, e “suggerisce che quasi il 100% del riscaldamento superficiale osservato dal 1850-1900 al 2020 sia dovuto alle emissioni antropogeniche. Tuttavia, le conclusioni dell’IPCC si basano esclusivamente su simulazioni al computer effettuate con modelli climatici globali forzati con un record di irradianza solare totale (TSI) che mostra una bassa variabilità multidecennale e secolare. Gli stessi modelli presumono anche che il Sole influisca sul sistema climatico solo attraverso il forzante radiativo – come la TSI – anche se il clima potrebbe anche essere influenzato da altri processi solari”.

Nel suo studio, Scafetta propone “tre modelli multi-proxy “bilanciati” di attività solare totale (TSA) che considerano tutti i principali proxy solari proposti nella letteratura scientifica”. I proxies sono fattori che hanno una correlazione con la temperatura, più calda o più fredda, esistente in un certo periodo climatico. “La loro firma ottimale sulle registrazioni di temperatura globale e della superficie marina viene valutata insieme a quelle prodotte dalle funzioni di forcing radiativo antropogenico e vulcanico adottate dai GCM di CMIP6. Ciò viene fatto utilizzando un modello di bilancio energetico di base calibrato con una metodologia di regressione multilineare differenziale, che consente al sistema climatico di rispondere all’input solare in modo diverso rispetto ai soli forcing radiativi e di valutare anche la caratteristica risposta temporale del clima”, spiega il Prof. Scafetta.

La metodologia proposta riproduce i risultati dei GCM di CMIP6 quando le loro funzioni di forcing originali vengono applicate in condizioni fisiche simili, il che indica che, in tale scenario, il probabile intervallo della sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) potrebbe essere compreso tra 1,4°C e 2,8°C, con una media di 2,1°C (utilizzando le registrazioni di temperatura HadCRUT5), che è compatibile con il gruppo di GCM di CMIP6 a bassa ECS. Tuttavia, se i record solari proposti vengono utilizzati come proxy della TSA e si consente che la sensibilità climatica ad essi differisca dalla sensibilità climatica ai forcing radiativi, si riscontra un impatto solare molto maggiore sul cambiamento climatico, insieme a un effetto radiativo significativamente ridotto”, si legge nello studio di Scafetta.

“In questo caso, l’ECS risulta essere di 0,9-1,8°C, con una media di circa 1,3°C. Intervalli inferiori dell’ECS (fino al 20%) si trovano utilizzando HadSST4, HadCRUT4 e HadSST3. Il risultato suggerisce anche che almeno l’80% circa dell’influenza solare sul clima potrebbe non essere indotta dal solo forcing dell’irradianza solare totale, ma piuttosto da altri processi del clima solare (ad esempio, da una modulazione magnetica solare dei raggi cosmici e di altri flussi di particelle, e/o altri), che devono essere esaminati a fondo e fisicamente compresi prima di poter creare modelli climatici globali affidabili. Questo risultato spiega perché gli studi empirici hanno spesso scoperto che il contributo solare ai cambiamenti climatici durante l’Olocene è stato significativo, mentre gli studi basati su modelli climatici globali, che adottano solo forcing radiativi, suggeriscono che il Sole gioca un ruolo relativamente modesto”, è la conclusione a cui giunge Scafetta nel suo studio.

L’affermazione dell’IPCC secondo cui il riscaldamento osservato dal periodo preindustriale (1850-1900) è quasi interamente dovuto alle emissioni antropogeniche si basa solamente sui risultati di alcuni GCM che presumono che le variazioni nell’attività solare possono avere un impatto sul clima solo attraverso i forcing radiativi dell’irradianza solare totale (TSI) e dell’irradianza spettrale solare (SSI). Inoltre, questi GCM utilizzano una funzione di forcing radiativo derivata dai modelli proxy della TSI a bassa variabilità secolare proposti nella letteratura scientifica. Questa scelta minimizza la componente solare del cambiamento climatico, massimizzando quella antropica”, evidenzia Scafetta nelle conclusioni del suo studio.

“Nelle suddette condizioni, l’ECS effettiva dovrebbe variare da 1,4°C a 2,8°C con una media di 2,1°C, il che implica che solo i GCM di CMIP6 compatibili con un intervallo di ECS così basso potrebbero essere tranquillamente utilizzati per politiche pubbliche che mirano a mitigare i futuri pericoli del cambiamento climatico”, come già indicato in numerosi lavori del Prof. Scafetta. “Questo intervallo di ECS è anche compatibile con i recenti risultati di Lewis (2023), che ha utilizzato gli stessi forcing”.

Le simulazioni climatiche ottenute dal 1850 al 2020 risultano essere meglio correlate con le registrazioni disponibili della temperatura globale e della superficie marina. L’impatto antropogenico è risultato sostanzialmente inferiore e l’effetto solare sul clima è risultato molto più significativo di quanto riconosciuto dall’IPCC”, evidenzia Scafetta. “L’ECS è stata determinata in 0,8-1,8°C con una media di circa 1,2°C utilizzando le registrazioni della temperatura superficiale globale e 0,6–1,6 °C con una media di circa 1,0 °C utilizzando le registrazioni della temperatura superficiale del mare”.

“L’intervallo dell’ECS trovato è significativamente inferiore a quanto previsto dai GCM di CMIP6 (1,8–5,7°C) e al probabile intervallo dell’ECS dichiarato dal rapporto AR6 dell’IPCC (2,5–4,0°C). Tuttavia, stime di ECS basse sono coerenti con diverse indagini empiriche indipendenti che hanno evidenziato un ruolo importante del Sole e della variabilità naturale nel determinare ciò che ha causato i cambiamenti climatici dal 1850”, continua Scafetta. “Valori di ECS vicini a 1,0°C implicherebbero che i feedback positivi e negativi al forcing radiativo sono approssimativamente bilanciati. Infatti, raddoppiare la concentrazione di CO2 nell’atmosfera da 280ppm a 560ppm potrebbe teoricamente generare, da sola, un riscaldamento di circa 1,0°C (Rahmstorf, 2008). Pertanto, un altro risultato chiave di questo studio è che, in media, il feedback climatico totale ai cambiamenti di CO2 potrebbe essere solo leggermente positivo. Inoltre, va anche tenuto conto del fatto che parte del riscaldamento mostrato dai dati ufficiali della temperatura superficiale può essere fittizio perché potrebbe derivare da isole di calore urbane e altri bias non climatici. Quindi, forse, i valori ECS valutati con le registrazioni della temperatura superficiale del mare (intorno a 1°C) potrebbero essere più realistici”, spiega Scafetta.

I modelli climatici globali di CMIP6 sembrano sottovalutare notevolmente il ruolo del Sole nel cambiamento climatico a causa di due limitazioni principali: forcing solari errati sono stati probabilmente integrati nei modelli; e la TSI da sola sembra probabilmente non essere il forcing solare più importante. Ulteriori forcing legati al magnetismo solare e meccanismi associati non sono inclusi nei GCM perché sono attualmente poco conosciuti, nonostante ci siano diverse indicazioni empiriche che potrebbero modulare sufficientemente il sistema di copertura nuvolosa. Infatti, l’effettiva sensibilità climatica alle variazioni dell’attività solare totale può essere 4-7 volte maggiore della sensibilità climatica al solo forcing radiativo. Pertanto, almeno l’80% circa dell’influenza solare sul clima potrebbe essere generata da processi diversi dal forcing dell’irradianza solare totale diretta. Se questo risultato è corretto, diversi meccanismi del clima solare devono essere studiati a fondo e completamente compresi prima di poter sviluppare modelli climatici affidabili”, conclude il Prof. Nicola Scafetta nel suo studio.

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