“Il cambiamento climatico è una novità per gli altri. Ma non per chi lavora la terra. Noi ce ne siamo resi conto da più di dieci anni”. Dentro quel “noi” ci sono i viticoltori, impegnati in un costante ripensamento delle coltivazioni e irrigazioni, come spiega all’AGI Francesco Monchiero, Presidente del consorzio Tutela Roero e di Piemonte Land of Wine, che raggruppa i consorzi vinicoli del Piemonte. “La viticoltura sta affrontando questo problema da tempo. Il cambiamento climatico, per il mondo del vino, comporta una conseguenza molto pratica: ossia che bisogna riadattare e rimodellare la coltivazione della vite. La quale, per fortuna, è una delle piante più resistenti al mondo, la troviamo dal Nord Africa ai freddi climi inglesi. Ha un grande spirito di adattamento ma è comunque minacciata da un clima diverso e da terreni fragili. Per continuare a produrre grandi vini, bisogna cambiare i canoni di qualità e metodi di lavoro”.
Le soluzioni sono molto pratiche. “Ad esempio, in passato si tendeva a defogliare molto la vite per far stare i grappoli il più possibile esposti al sole così da avere una maturazione ottimale e un vino di qualità. Oggi facciamo il contrario, tendiamo a lasciare più foglie affinché il sole non bruci le piante. E ancora, prima si lavorava il terreno il meno possibile, lasciando l’inerbimento, perché pioveva molto e di conseguenza serviva un terreno compatto così che non fosse trascinato verso valle dalle piogge estive. Oggi, al contrario, bisogna aprire i terreni in maniera tale che quelle poche gocce che cadono filtrino bene nel suolo. È importante portare a casa un’uva che somigli a quella di una volta”.
Non tutte le conseguenze del cambiamento climatico, però, sono facilmente affrontabili. “L’effetto che riusciamo a governare meno di tutti – spiega ancora Monchiero – è il continuo crescere della percentuale di alcool nei vini. Un tempo la cercavamo, adesso no. Perché, prima, per ottenere un vino di 12 gradi ci voleva una grande ricerca e dietro c’era molto lavoro. Adesso, i vini che una volta facevamo 12 gradi arrivano tranquillamente a raggiungerne 14 o 15″.
“Certo che il cambio climatico è stato più rapido di quanto non ci aspettassimo – riflette il rappresentante dei viticoltori piemontesi -. Ci sono grosse sfide che ci aspettano. La scorsa estate ci siamo trovati di fronte il problema della siccità. Quelle poche piogge, quando arrivano, lo fanno con una forza mostruosa e sono piene di grandine, costringendoci a riadattare, di volta in volta, la coltivazione proteggendola da questo tipo di eventi“. Ma, con questi presupposti, è possibile sperare in un buon risultato per la prossima vendemmia? “Sì, sarà una vendemmia positiva, perché la fase siccitosa durata più di un anno e mezzo è finita con le piogge di aprile 2023 e, fino a metà giugno, almeno nel nostro territorio, ha piovuto molto e bene, senza eventi estremi. In questo modo, si è recuperato parte del gap di siccità dello scorso anno e ci troviamo attualmente con una buona produzione sulla pianta. Per ora – conclude Monchiero – possiamo essere ottimisti”.