Il bradisismo flegreo e i terremoti nei Campi Flegrei: considerazioni e potenziali soluzioni a salvaguardia di popolazione

MeteoWeb

di Benedetto De Vivo * – Al ripetersi del bradisismo e terremoti di bassa magnitudo nei Campi Flegrei, riprendono con vigore le diverse interpretazioni scientifico-mediatiche intorno a questo fenomeno. Già ho trattato su MeteoWeb con contributi dell’argomento e rimando quindi ad articolo di Lima e De Vivo del 21 aprile 2021 e al successivo articolo di De Vivo del 20 marzo 2022.

Come ampiamente illustrato in un recente seminario organizzato dal Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse, dell’Università di Napoli “Federico II”, tenuto da A. Lima, per spiegare il bradisismo sono stati elaborati, dai vari studiosi, molti modelli che in ultima analisi sono tutti in funzione della presenza di un corpo magmatico in profondità. Le differenze interpretative sostanziali riguardano il ruolo che assume il magma. Attraverso i modelli si cerca di simulare i sistemi naturali spesso molto complessi nell’obiettivo di capire i meccanismi che li governano. Per i non addetti ai lavori non è sempre semplice comprendere l’affidabilità dei vari modelli elaborati che portati all’attenzione dei media possono anche destare preoccupazione e/o sconcerto. Per i Campi Flegrei la gran parte dei ricercatori ha elaborato modelli che spiegano il bradisismo attraverso la messa in posto, a profondità superficiali, di intrusioni magmatiche che hanno avuto origine da un sistema magmatico più profondo (> 7,5 km) come è stato rilevato da un’indagine tomografica di Zollo et al. (2008). Nell’ultimo decennio, c’è stata quasi una conversione di massa ai modelli che ipotizzano un’intrusione magmatica a livelli superficiali per spiegare il bradisismo più intenso degli ultimi tempi (1982-84) che portò a un sollevamento di quasi 180 cm. Invece solo alcuni prediligono questa teoria per gli eventi di minore entità che si sono susseguiti dal 2006, quando una nuova fase di sollevamento è iniziata e che continua a tutt’oggi ad una velocità media di circa 4 cm/anno. Seppure questi modelli siano stati implementati con rigore scientifico e nei minimi particolari, sono sempre delle simulazioni teoriche con assunzioni che spesso sono lontane dalla realtà geologico-strutturale, stratigrafica e di permeabilità del sottosuolo dei CF, che si conosce, con un buon dettaglio, sulla base delle numerose perforazioni – che si spingevano fino a 3,2 km di profondità – eseguite negli anni ’70 da joint venture AGIP-ENEL per indagini geotermiche. Perforazioni che non hanno mai trovato la benché minima evidenza di intrusioni magmatiche (in particolare uno dei sondaggi in area San Vito, raggiunta la profondità di circa 3,2 km, fu dovuto tombare ad horas per rischio di esplosione). Ci sono altri importanti punti deboli in merito all’interpretazione che invoca la presenza di intrusioni magmatiche per spiegare la fenomenologia bradisismica. Il primo è che se un’intrusione magmatica può giustificare il sollevamento, essa non spiega in nessun modo la subsidenza che costantemente segue la fase di sollevamento. Nessun tipo di magma una volta che si è intruso ha la possibilità di ritrarsi! Insomma i magmi “ballerini” non esistono… Il secondo punto invece riguarda la ciclicità del fenomeno. Come si è detto sin da epoche ben antecedenti a quella Romana, il bradisismo si presenta sempre con le stesse modalità, con la stessa deformazione del suolo, con l’area di massimo sollevamento centrata sempre nella zona di Pozzuoli e anche il volume sismogenico è sempre lo stesso. Se gli eventi bradisismici fossero dovuti a intrusioni magmatiche questa riproducibilità sarebbe molto improbabile se non impossibile. Alcuni studiosi recentemente hanno elaborato modelli che spiegano il bradisismo con la risalita di magma accompagnato naturalmente dai fluidi, che per questo si definiscono di origine magmatica, che andrebbero ad alimentare le acque idrotermali e le fumarole dell’area della Solfatara e dei Pisciarelli ad Agnano, creando appunto nel sottosuolo una colonna di vapore alta 2000 metri. Gli stessi studiosi nell’evento del 2012-13 ipotizzarono la risalita di un’intrusione magmatica inducendo la Protezione Civile ad aumentare lo stato di allerta al livello giallo. Le equazioni utilizzate e i calcoli eseguiti da questi ricercatori sicuramente sono corretti ma dov’è allora il problema? A mio parere nel modello di partenza che ipotizza intrusioni magmatiche e in alcune assunzioni che vanno necessariamente fatte per l’applicazione dei modelli adottati.

Del resto, sin dai primi anni 2000, collaborando con ricercatori americani di chiara fama e punti di riferimento della magmatologia mondiale, abbiamo elaborato un modello che non coinvolge direttamente il magma, dando un’interpretazione assolutamente “non conformista” del fenomeno su riviste scientifiche (De Vivo e Lima, 2006, Developments in Volcanology 9, Elsevier, 289-317; Bodnar et al., 2007, Geology, 35(9), 791-794; Lima et al., 2009, Earth Sc. Review, 97, 44-58; Lima et al., 2021. Geofluids, Doi: 10.1155/2021/2000255) e a livello divulgativo (De Vivo et al., 2009, Le Scienze, 2009, Dic., 496, 96-103; Geo&Geo-RAI 3). Il modello da noi sviluppato come gruppo di ricerca internazionale prevede una formazione geologico-statigrafico-strutturale a forma di anticlinale (campana) che riesce a conservare per millenni i fluidi senza sostanziali modificazioni (vedi Figura 1). Senza dimenticare che la scala dei tempi umani, è ben diversa rispetto alla scala dei tempi geologici… Questi fluidi, nel modello elaborato in collaborazione con altri Ricercatori (vedi rif bibl. sopra riportati), sarebbero parte di un sistema idrotermale che evolve su tempi brevi, dell’ordine di 1-100 anni e sarebbero confinati da uno strato impermeabile. Quest’ultimo sarebbe una sorta di valvola: quando è completamente integro e chiuso, non consentendo il passaggio dei fluidi verso l’esterno, si innesca un evento di sollevamento per la pressione esercitata dai fluidi stessi (in condizione di pressione litostatica); quando la pressione litostatica, frattura il livello impermeabile sovrastante (costituito da uno spesso strato di materiale visco-elastico – riscontrato dai sondaggi AGIP-ENEL intorno alla profondità di 3 km, di composizione argillitica-pozzolanica), i fluidi passano dallo stato di pressione litostatica a idrostatica, producendo idro-fratturazione (da parte dei fluidi pressurizzati) dello stato impermeabile, con conseguente incremento di attività fumarolica e liberazione di fluidi gassosi. A questo processo poi fa seguito la fase di subsidenza. Nel momento in cui lo strato impermeabile si frattura lasciando depressurizzare il sistema e favorendo la subsidenza si innescano delle reazioni di precipitazione dei composti e degli elementi trasportati in soluzione dai fluidi idrotermali, che causerebbero la chiusura delle fratture e del sistema, pronto a caricarsi per la fase successiva di sollevamento. Il processo è del tutto simile a quello che si verifica, nella propria cucina, mettendo in cottura la pasta, con l’uso di una pentola a pressione…

Questo sistema idrotermale, è comunque collegato al sistema vulcanico più profondo, che evolve su tempi lunghi dell’ordine di 103-104 anni, e che fungerebbe da motore. Secondo dati sperimentali ottenuti dallo studio dei pozzi geotermici (De Vivo et al., 1989; J. Volcanol. Geotherm. Res., 36, 303-326.), è in una situazione stazionaria e in raffreddamento.

Vulcano
Figura 01

L’attività magmatico-idrotermale profonda ai Campi Flegrei negli ultimi 4.500 anni circa può essere schematizzata come nella figura 2, dove sono indicati anche la stratigrafia e i serbatoi d’acqua a salinità e temperature variabili rinvenuti attraverso i sondaggi eseguiti dall’AGIP-ENEL per l’esplorazione geotermica.

Vulcano
Figura 02

L’ultimo periodo di intensa attività vulcanica si è registrato tra circa 4.500 e 3.700 anni fa (A). Nel periodo compreso fra 3.700 anni fa e l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538 d.C. (B), il magma, inizialmente sottosaturo in volatili, si raffredda lentamente: cristallizzano minerali anidri, e inizia a svilupparsi un carapace saturo in acqua (composto di cristalli + melt + fluidi salini e vapore), al di sotto del guscio impermeabile alla sommità e lungo i fianchi del corpo magmatico, che isola il magma rispetto alle rocce sovragiacenti. In questo contesto si trovano testimonianze, attraverso le inclusioni fluide (piccole gocce di fluidi intrappolati nei cristalli) di intrappolamento simultaneo, di fluidi ipersalini, vapore e melt (H). Poco prima dell’eruzione del 1538 (C) il carapace che si è sviluppato, unitamente allo strato impermeabile che lo circonda, si frattura, consentendo al magma e ai fluidi di sfuggire. L’eruzione del Monte Nuovo del 1538 (D) è dovuta a una piccola apofisi di fluido magmatico che, attraverso una frattura, è riuscito a penetrare un acquifero superficiale, innescando un’eruzione inizialmente freatica e successivamente freato-magmatica. Dopo l’eruzione del 1538 (E) il magma viene isolato, e il sistema si chiude nuovamente ai fluidi magmatici. Nel 1982 (F) il sistema magmatico profondo si apre ai fluidi che comunque vengono trattenuti dallo strato impermeabile più superficiale, posto a circa 3 chilometri di profondità, composto da materiale pozzolanico, argilliti e siltiti, dando inizio al processo di sollevamento. Lo strato impermeabile a circa 3 chilometri si frattura (G), permettendo una completa connettività tra l’ambiente magmatico profondo e gli acquiferi superficiali. Il sollevamento del suolo cessa e inizia la deflazione. La cristallizzazione del magma e la precipitazione dei minerali dai fluidi depressurizzati producono la risigillatura del corpo magmatico per produrre di nuovo un sistema chiuso. A questo punto il corpo magmatico ritorna nelle condizioni originarie prima che si verificasse la fatturazione, tranne per la circostanza che il carapace esterno saturo in acqua è migrato nel frattempo a profondità maggiore rispetto alla posizione di partenza. Ulteriore cristallizzazione produce fluidi magmatici nella porzione superiore del corpo magmatico, determinando un incremento di pressione e poi una riattivazione del processo già precedentemente attivo.

Le inclusioni fluide intrappolate nei minerali (H) rivelano l’ambiente in cui si sono formati i cristalli che le contengono. Le inclusioni magmatiche (MI) idrosaline (L+H) e a vapore dominante sono presenti in cristalli che si formano a pressioni litostatiche (dominio plastico) e intrappolano fluidi sprigionati dal magma in via di cristallizzazione. Le inclusioni a liquido dominante (L), molto saline (salamoie), insieme alle inclusioni a vapore dominante (V), possono essere intrappolate nella zona di transizione dal dominio plastico al dominio fragile (vapore + fluidi ipersalini/salamoie). Le inclusioni intrappolate nei cristalli che si formano nel dominio idrostatico sono a liquido dominante con salinità da moderata a molto diluita. Se queste ultime coesistono con inclusioni a vapore dominante, con temperature di omogeneizzazione simili, significa che hanno intrappolato un fluido acquoso in ebollizione.

Il modello, sopra illustrato, è stato elaborato sulla base delle conoscenze acquisite negli anni anche da altri studi e validato da calcoli termodinamici per verificare la compatibilità delle forze in gioco (Bodnar et al., 2007, Geology, 35(9), 791-794; Lima et al., 2009, Earth Sc. Review, 97, 44-58). Da tali calcoli risulta che l’energia in gioco generata da questo processo è tale che se il sistema fosse rigidamente “chiuso” si giustificherebbe il sollevamento di intero territorio dei CF fino a 40 m. … e questo, nel passato geologico dei CF, si è verificato (vedi presenza di terrazzo marino di La Starza, a circa 40 metri al disopra di attuale livello marino). L’aumento di sismicità con ipocentri intorno a circa 3 km, in base al nostro modello, rappresenta la zona dove avviene la fratturazione idraulica dello strato impermeabile più superficiale che trattiene i fluidi. La sismicità a livelli più profondi indicherebbe la fratturazione di uno strato rigido e impermeabile che racchiude invece il magma in lento raffreddamento (che produce la cristallizzazione procedendo dall’esterno verso l’interno della camera magmatica). Nella sostanza, nell’evoluzione di questo processo, che può durare dalle decine alle centinaia di migliaia di anni, i fluidi magmatico-idrotermali esercitano una spinta verso l’alto (e non il magma direttamente) determinando il bradisismo positivo. Quando poi la pressione interna (litostatica), vince la resistenza di 2 livelli impermeabili (quello “magmatico/cristallino” più profondo – >7,5 km – e quello più superficiale – a circa 3 km), il sistema si frattura e si apre rispetto ai fluidi e inizia la subsidenza che dura fino a quando i fluidi depressurizzati entrano in ebollizione, depositano minerali lungo le fratture e “autosigillano” il sistema.

I tremori e la sismicità di bassa magnitudo che si registrano a livelli molto superficiali spesso non sono riconducibili, in senso stretto, al fenomeno bradisismico ma a perturbazioni della falda superficiale (esempio: per apporto variabile di acqua meteorica, vedi Scafetta e Mazzarella, 2020). Va fatto rilevare che i fluidi in ebollizione causano anche tremore “vulcanico” con sismicità di bassa magnitudo. È da rimarcare che nei CF, le eruzioni associate al sollevamento del suolo sono rare: l’unico caso documentato negli ultimi 4.000 anni è stata l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, e forse un piccolo evento freatico (eruzione di acque, vapori, gas e a fanghi bollenti) del 1198. Secondo il nostro modello (vedi rif bibl. sopra riportati), con il progredire del raffreddamento del magma, il guscio impermeabile migra a maggiore profondità, l’energia e la variazione di volume – associate con la generazione dei volatili – diminuiscono. La probabilità di un’eruzione nei CF oggi è, quindi, molto bassa e nel tempo essa dovrebbe ancora diminuire. Lo scenario può cambiare, e la possibilità di un evento eruttivo divenire maggiormente probabile, solo con l’arrivo di nuovo magma da maggiori profondità nella camera di alimentazione dei CF (situata a più di 7,5 km di profondità). E’ da evidenziare, però, che allo stato non esistono evidenze che dimostrino l’arrivo di nuovo magma e che comunque studi dettagliati in altri vulcani del mondo, dimostrano che agli episodi di sollevamento del suolo non seguono di norma le eruzioni. Queste ultime sono eventi assolutamente eccezionali.

Alcuni Ricercatori, in una recente pubblicazione internazionale, ampiamente enfatizzata sui media locali, sostengono che nei Campi Flegrei si starebbe verificando una perdita di elasticità della “crosta” per cui diventerebbe più probabile una eruzione catastrofica. Secondo il mio punto di vista si tratta di affermazioni generiche, che determinano solo incertezze/panico in popolazione. Non si capisce il senso di tali affermazioni, considerato che i Ricercatori stessi escludono che ci sia alcuna risalita del magma verso la superficie (con il magma sempre stazionariamente ubicato al circa 8 km di profondità).

In particolare mi preme precisare, che per spiegare un fenomeno “naturale” e sua evoluzione si dovrebbero prendere in considerazione gli eventi del passato geologico e anche “storico” (alla scala della vita umana). Tutto questo richiamando il principio dell’attualismo di Charles Lyell (1797-1875) (uno dei padri fondatori della geologia: Principles of Geology, 1830), che nella sostanza stabilisce, molto semplicemente, che “ciò che si è verificato nel passato, si può verificare nel presente o futuro; e ciò che si verifica nel presente si è verificato nel passato”. Quanto scriveva Charles Lyell è abbastanza in linea con quanto scriveva il filosofo Giambattista Vico (1700) (Verum ipsum factum), vale a dire la verità è nei fatti…

Sarebbe auspicabile che i Ricercatori di estrazione geologica ricordassero sempre questo, semplice, basilare principio della geologia di Lyell, se proprio vogliono ignorare il pensiero di un filosofo come G. Vico…. Ovviamente per capire il presente e evoluzione futura bisogna ben capire cosa sia successo, geologicamente, nel passato. Poi, quali che siano le interpretazioni e gli “insegnamenti” che ogni Ricercatore vuole, legittimamente, trarre dai dati scientifici a disposizione, essi dovrebbero essere sempre finalizzati alla salvaguardia delle vite umane, tenendo sempre ben presente, che i Ricercatori non dispongono di tutte le variabili che entrano in gioco nel fenomeno naturale. Quindi nessuno può dire con certezza deterministica quale possa essere l’evoluzione futura del processo che periodicamente si ripete da secoli. Processo che una sola volta, nel 1538, ha dato luogo alla piccola eruzione di Monte Nuovo. Eruzione, da far notare che non fu magmatica, ma essenzialmente freatica. Così come va fatto notare che un bradisismo, di regola non è prodomo di eruzione. L’eruzione si verifica come evento eccezionale. Ciò nondimeno, in considerazione di elevata densità abitativa nell’area dei Campi Flegrei e conseguentemente del rischio elevato al quale la popolazione è esposta, bisogna stare nella massima allerta per prepararsi all’evento peggiore che si possa verificare, vale a dire una potenziale eruzione esplosiva. Il tutto rifuggendo da ogni forma di sensazionalismo mediatico e di ricerca di audience!

Ogni Ricercatore, dovrebbe interpretare in modo coerente i dati disponibili, per il passato e il presente, pubblicando suoi legittimi punti di vista su riviste scientifiche accreditate, sia che voglia privilegiare presupposto di una presunta risalita (portando prove!) di un “pistone” magmatico che spingerebbe verso l’alto il suolo sia l’interpretazione che privilegia il ruolo svolto dai fluidi nel processo in atto nei Campi Flegrei almeno negli ultimi circa 4.000 anni, o comunque a partire da epoca Greca fino ai nostri giorni.

Qualche Ricercatore nel passato recente aveva scritto che “i fluidi idrotermali non sarebbero capaci di produrre accumulo di sforzo fino a superare la resistenza delle rocce e, quindi, terremoti”. Peccato che il ruolo dei fluidi sia ben documentato nella letteratura scientifica mondiale recente e passata, relativamente sia all’attività sismica determinata da fluidi profondi che passano da condizioni di pressioni litostatiche a idrostatiche, sia alla enorme energia da essi prodotta. Tutto questo è documentato da una montagna di letteratura scientifica nello studio sia della sismicità indotta dai fluidi sia dei giacimenti minerari noti come porphyry copper/molybdenum. Forse sarebbe consigliabile suggerire a questi Ricercatori di fare delle visite di uno dei tanti sistemi “porphyry” delle Ande o altrove nel mondo; potrebbero osservare in sezioni naturali negli enormi giacimenti a cielo aperto, cosa è un magma in profondità e come appunto, tali fluidi siano non solo capaci di “fratturare le rocce”, ma anche rendersi conto dell’energia enorme che hanno di “sollevare” le montagne! Forse in merito al ruolo dei fluidi idrotermali, sarebbe il caso di studiare quanto scritto ad esempio, dal Prof. Wayne Burnham (Pennsylvania State University) sull’argomento. O molto più semplicemente ciò che riportiamo in nostre pubblicazioni scientifiche (De Vivo e Lima, 2006, Developments in Volcanology 9, Elsevier, 289-317; Bodnar et al., 2007, Geology, 35(9), 791-794; Lima et al., 2009, Earth Sc. Review, 97, 44-58; Lima et al., 2021, Geofluids; Doi: 10.1155/2021/2000255) e a livello divulgativo (De Vivo et al., 2009, Le Scienze, Dic., 496, 96-103; Geo&Geo-RAI 3) dove, con il contributo dei Prof. R. J. Bodnar (Virginia Tech) e F. Spera (Univ of California Santa Barbara), dimostriamo che l’energia messa in gioco dai fluidi idrotermali nei Campi Flegrei è tale da giustificare il sollevamento di intero apparato vulcanico di ben 40 metri (e questo è successo, nel passato dei Campi Flegrei: principio di Lyell), se il sistema fosse rigidamente chiuso e sigillato.

Altra recente valutazione di altri Ricercatori su presunta perdita di elasticità della crosta che renderebbe più probabile una eruzione catastrofica, risulta in verità alquanto generica e inconcludente.

Considerazioni e proposte di soluzioni operative

Personalmente nutro dei dubbi sul fatto che tutti i Ricercatori intervengano sul tema del rischio vulcanico, con la finalità di dare un contributo finalizzato alla salvaguardia di vite umane. Spesso, purtroppo, si interviene, con leggerezza, facendo, forse, prevalere la voglia di protagonismo, dimenticando che in tali aree vivono milioni di persone. Ritengo che questo sia il caso che si è ripetuto sistematicamente per il rischio Vesuvio e Campi Flegrei, dove si sono prese in anni recenti posizioni, che cozzavano e cozzano contro il dovere primario del Ricercatore di operare per salvaguardare vite umane. Porto in questa direzione esempi “illuminanti” e contraddittori che si sono verificati sia per i Campi Flegrei che per il Vesuvio. Ad esempio per l’area flegrea, si dovrebbe spiegare ai cittadini perché mai, negli anni 80, da un lato si decideva correttamente l’evacuazione del Rione Terra (nel momento del panico di allora, giustificata), ma dall’altro, gli stessi scienziati che supportavano questa decisione, “autorizzavano” la costruzione della new town di Monteruscello all’interno della stessa caldera flegrea dove era prevista l’eruzione. Se si fosse verificata l’eruzione paventata, Monteruscello sarebbe stata spazzata via, né più né meno come Pozzuoli e il Rione Terra. Nel caso del rischio Vesuvio, gli scienziati, da un lato delimitavano la Zona Rossa intorno al Vesuvio seguendo i confini amministrativi (senza informare però il Vesuvio su tale bizzarra decisione) dei Comuni, dall’altro ignoravano scientemente il comportamento passato del vulcano (dove il 95% dei flussi piroclastici è distribuito nel raggio di 12 km dal cratere). Altra decisione assurdamente contraddittoria, per i Campi Flegrei, è quella di assumere come eruzione di riferimento per la Protezione Civile quella di circa 4.000 anni fa (nota come Eruzione di Agnano-Monte Spina), per poi ignorare che i prodotti esplosivi di tale eruzione hanno investito circa il 50% della città di Napoli (i prodotti di tale eruzione sono presenti a Piazza S. Domenico Maggiore, nel pieno centro urbano di Napoli, sotto la Chiesa di S. Domenico). La Zona Rossa dei Campi Flegrei, per decisione politica, con il supporto di scienziati “accondiscendenti” (in primis i vulcanologi della Commissione Grandi Rischi di PC), comprende solo parte di Posillipo e Arenella… ovviamente, come per il Vesuvio, il vulcano non è stato informato di tale decisione! Al Vesuvio, in spregio al comportamento passato e recente dei flussi piroclastici, ancora più assurdamente, a fronte della decisione della politica di costruire l’Ospedale del Mare (la più grande struttura ospedaliera dell’Italia meridionale), là dove è stato costruito, vale a dire a 7,5 km dal cono del Vesuvio, siffatti scienziati hanno “coperto” il tutto con il loro silenzio/assenso. L’Ospedale del Mare poi è stato collaudato da un Prof. di Ingegneria Sismica di Università di Napoli Federico II, ora Assessore del Comune di Napoli, dimenticando il non irrilevante dettaglio, che il rischio massimo al Vesuvio è primariamente vulcanico (flussi piroclastici), non sismico. Da notizia stampa di alcuni mesi fa, ho appreso con incredulità, che ora si programmerebbe anche la costruzione di altro Ospedale, il Nuovo Santobono, in area adiacente a quella dell’Ospedale del Mare. Si spera adesso che per i Campi Flegrei, all’interno della Zona Rossa, nell’area ex industriale di Bagnoli con nuovo risanamento (con immane sperpero di risorse pubbliche – De Vivo B., 2021: https://www.meteoweb.eu/2021/04/bagnoli-napoli-la-bonifica-infinita/1661459/; Iannello C., 2021: https://www.meteoweb.eu/2021/12/il-risanamento-del-sito-industriale-di-bagnoli/1749050/; De Vivo B, 2023: https://www.meteoweb.eu/2023/07/bagnoli-la-bonifica-infinita-spacciata-per-un-caso-unico-al-mondo/1001269572/) affidato al nuovo Sindaco di Napoli, non si proceda a nuova colata di cemento ad uso residenziale. Dovrebbe essere ben chiaro a tutti, penso soprattutto ai Ricercatori delle Scienze della Terra, che nelle Zone Rosse vulcaniche la densità abitativa andrebbe decrementata, non incentivata.

In merito comunque al rischio vulcanico, sempre per informazione, a fronte, tra l’altro delle “sicurezze”, più volte manifestate da parte della Protezione Civile, dell’Osservatorio Vesuviano e di vari vulcanologi e geofisici, riguardo ai tempi di previsione di una eruzione del Vesuvio (segnali premonitori), riporto all’attenzione di tutti che il vulcano Chaiten (Cile) ha eruttato nel mese di Maggio del 2008, dopo 9.000 anni di inattività, con manifestazione di sismicità solo 25 ore prima dell’esplosione vulcanica. E’ ben vero che il Vesuvio e i Campi Flegrei siano vulcani con un alto livello di monitoraggio, ma è altrettanto vero che le eruzioni possono comunque verificarsi con segnali premonitori molto ravvicinati rispetto all’evento eruttivo. Il caso dell’improvvisa eruzione del vulcano Chaiten, così come quella dei vulcani Saint Vincent (1979) e Montserrat (1995) nelle Antille, dovrebbero dettare ben altre cautele ai nostri, fin troppo, rassicuranti colleghi vulcanologi e geofisici. Insomma la prevenzione si fa prendendo in considerazione l’evento peggiore possibile, non quello più ottimistico…

Alla luce del fatto che, quale che siano le legittime interpretazioni su origine e evoluzione del bradisismo, bisogna sempre essere in posizione di massima allerta per la salvaguardia della popolazione che vive a rischio (più che vulcanico/sismico, del combinato disposto, scienza-politica). Tanti Ricercatori/Scienziati, dovrebbero sottoscrivere un appello alla politica, facendosi promotori della stessa operazione lanciata per Napoli con successo da Matilde Serao alla fine dell’1800. Quella “illuminata” intellettuale fece una instancabile campagna politico-mediatica all’epoca, sulle pagine del giornale diretto dal marito, Edoardo Scarfoglio, per promuovere lo sventramento di Napoli (per ragioni igieniche). Lo sventramento fu poi realizzato, all’inizio del 1900 con l’intervento noto come il “Risanamento” di Napoli (pur con la contrarietà della stessa Serao, per come fu realizzato). Allo stesso modo continuo a sostenere, del tutto inascoltato, da anni che l’unica soluzione, sia per la popolazione flegrea che vesuviana, sia una operazione di sventramento dei territori con la costruzione di ampie vie di fuga. Si deve cioè fornire ai cittadini la possibilità di potere mettersi in sicurezza nel giro massimo di 24 ore. A tutti sono ben noti, viceversa, sia il devastante fenomeno dell’abusivismo edilizio, sia i conseguenti condoni edilizi che la politica “regala” con regolarità ai propri elettori. Nessun politico farà mai quello che propongo da anni, nel silenzio/assenso degli scienziati… così come in Giappone, nessuno ha mai dato ascolto ad un geologo che per decenni avvisava le Autorità che la Centrale Nucleare di Fukushima, fosse stata costruita in un sito fortemente esposto al rischio tsunami. Il geologo, parlava sulla base della conoscenza di tsunami verificatosi nel passato geologico recente dell’area del sito della centrale nucleare. Il geologo giapponese, che veniva accusato di ingiustificato allarmismo, è morto purtroppo solo 2-3 anni prima dello tsunami che poi ha investito la Centrale di Fukushima. Ha ricevuto i dovuti riconoscimenti circa la fondatezza dei suoi allarmi solo post-mortem.

Nel rispetto di quanto scrivevano C. Lyell nel 1800 e G. B. Vico nel 1700, qualsiasi modello scientifico con proposizioni sul futuro, dovrebbe prima di tutto essere coerente e logico con quanto si è verificato per il passato. Uno scienziato delle Scienze della Terra, deve prima di tutto sapere leggere il libro scritto da Madre Natura. Questo principio dovrebbe essere valido per tutti gli aspetti che riguardano il verificarsi di eventi naturali. Purtroppo tanti disastri etichettati come “naturali” sono in effetti dovuti ad una pessima lettura che la politica (spesso con il supporto e/o silenzio/assenso degli scienziati) fa della Natura. Per cui si costruisce senza discernimento in valli alluvionali, in zone Rosse vulcaniche (vedi appunto il caso di Vesuvio e Campi Flegrei), in aree altamente sismiche senza alcuna prevenzione sismica affidandosi ad utilizzo di approccio probabilistico (PHSA) invece che ad approccio Neo-Deterministico (NDSHA) (vedi Panza F. G, Kossobokov G.V, Laor E. & De Vivo B., 2022. Earthquakes and Sustainable Infrastructure. Neodeterministic (NDSHA) Approach Guarantees Prevention Rather than Cure. Elsevier, 648 pp). L’approccio probabilistico, è quello prediletto da Lobby di Ingegneria Sismica e da Compagnie di Assicurazioni, che sostanzialmente ignorano l’utilizzo dell’approccio NDSHA, che metterebbe in salvo decine di migliaia di vite umane, cosa assolutamente non garantita dall’approccio PHSA.

In questo contesto sono stato dal 29/6 al 6/7/23, in Islanda, per partecipare ad un Convegno scientifico. Ebbene in questa settimana a circa 35 km da Reykyavik, nella zona vulcanica della penisola di Reykjanes si è verificato uno sciame sismico (ancora in atto) con Magnitudo fra 3 e 5, con ipocentro a circa 7-8 km di profondità, in corrispondenza di un centro vulcanico lungo la frattura medio-Atlantica. Ebbene i sismi si sentivano distintamente a Reykyavik, ma non si è verificata alcuna scena di panico. Diciamo che il tutto scorreva nella assoluta tranquillità della popolazione. Ovviamente la situazione logistica di Reykyavik e dintorni, non è certo paragonabile a quella iper-abitata di Vesuvio e Campi Flegrei. Sta di fatto che in Islanda, tutte le abitazioni sono costruite obbligatoriamente con tecniche antisismiche per resistere a scosse di Magnitudo 7. Sostanzialmente in Islanda viene imposto il rispetto di approccio NHDSA (costruire in funzione dell’evento massimo atteso-MCE), vale a dire le abitazioni devono essere costruite per reggere una Magnitudo di 7 (evento massimo verificatosi nel passato nella specifica area di riferimento). Inoltre a Reykyavik sono presenti ampie vie di fuga, cosa del tutto assenti sia nei Campi Flegrei che al Vesuvio.

Le vie di fuga sono indispensabili nelle Zone Rosse ad elevatissimo rischio, perché sono uno strumento flessibile che consente sia una velocissima fuga della popolazione in presenza di un rischio incombente, sia un veloce rientro in caso di falsi allarmi (cosa questa del tutto possibile). I Piani di Evacuazione della Protezione Civile sarebbero di ben scarsa utilità in considerazione della viabilità e della densità abitativa sia nei Campi Flegrei che intorno al Vesuvio. Ovviamente non bisognerebbe fare confusione fra rischio sismico e vulcanico: in caso di soli eventi sismici ripetuti, senza eruzioni, le abitazioni e le vite umane, andrebbero protette con opportuna applicazione di normativa antisismica di carattere strutturale (quindi su fondazioni) per sostenere sollecitazioni sismiche fino all Magnitudo massima (intorno a 6) possibile sia ai Campi Flegrei che al Vesuvio. Mentre in previsione di una catastrofica eruzione esplosiva, è fondamentale una rapidissima evacuazione, attraverso ampie vie di fuga, ora largamente inesistenti e/o insufficienti…. E si dovrebbe assolutamente non incrementare la densità abitativa con scriteriate speculazioni edilizie; e quindi zero Condoni edilizi all’interno delle Zone Rosse.

Il territorio, per mancanza di lungimiranza di politici del passato e del presente (con la complicità di scienziati accondiscendenti), è stato fin troppo abusato. Evitiamo almeno alle generazioni future di dovere, prima o poi, pagare un pesantissimo tributo in vite umane ai bellissimi vulcani Napoletani, che certamente NON sono informati delle scellerataggini che si consumano nei territori di loro naturale sfogo… In fondo i vulcani Napoletani sono “buoni/collaborativi”, perché ci stanno dando tutto il tempo per prepararci al peggio, operando con sagge misure preventive.

* Benedetto De Vivo: Prof. Straordinario presso Univ. Telematica Pegaso, Napoli; e Adjunct Prof: presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA; Nanjing Univ, Nanchino, Cina; Hubei Polytechnic Univ, Huangshi, Cina; 2019 Gold Medal Award dell’Association of Applied Geochemistry. Già Prof. Univ. di Napoli Federico II.

 

Condividi