L’ultimo focolaio di colera in Italia risale al 1994, a Bari, ventuno anni dopo l’epidemia che colpì soprattutto Napoli. Ora c’è un nuovo caso in Sardegna. Un ritorno del vibrione nell’Isola a distanza dell’ultimo episodio datato 1973. Colpito un 71enne di Arbus, centro a 74 chilometri da Cagliari. L’uomo era sotto controllo per altre patologie, ma alcuni sintomi hanno convinto i medici del Santissima Trinità di Cagliari ad effettuare analisi più approfondite. E alla fine è arrivata la diagnosi: colera.
Cause ancora da accertare, ma le ipotesi sono sostanzialmente due: ingestione di acqua non potabile con presenze di reflui non purificati. Oppure consumo di frutti di mare crudi: i microrganismi che provocano il colera tendono a concentrarsi lì. Ma il verdetto ancora non c’è. Per questo gli esperti evitano facili e affrettate conclusioni proprio per evitare possibili allarmismi tra i consumatori di cozze e altri frutti di mare. Il responso sul sierotipo arriverà giovedì 13 dall’istituto zooprofilattico di Roma.
“Il paziente sta meglio – rassicura il responsabile del reparto Infettivi del Santissima Trinità Goffredo Angioni, già in prima linea nella lotta al coronavirus – La situazione è in fase di normalizzazione. Le scariche di diarrea si sono man mano ridotte. E ora la situazione è sotto controllo”. L’attenzione rimane alta, ma senza allarmismi né psicosi da epidemia, avvertono gli specialisti: il caso di Arbus al momento risulta isolato. Applicati tutti i protocolli nazionali relativi alla malattia infettiva: il paziente è in isolamento ed è in corso – se ne sta occupando la Asl del Medio Campidano – l’attività di tracciamento per rilevare eventuali casi di contagio tra le persone che abitualmente vivono con il 71enne o lo frequentano.
Dal manager della Asl 8, Marcello Tidore, una raccomandazione: “Soprattutto d’estate è opportuno fare attenzione alla potabilità dell’acqua. Preferibile sempre consumare cibi cotti, se crudi devono essere stabulati o abbattuti”. In Paesi come quelli del Sudest asiatico, invece, la diffusione si deve alla mancanza di sistemi fognari adeguati, che favorisce il terreno in cui il batterio si moltiplica.
La trasmissione della malattia avviene per contatto tra le feci e la bocca, sia in via diretta (ad esempio, attraverso la scarsa igiene delle mani che vengono portate alla bocca), sia attraverso l’acqua o gli alimenti contaminati dalle feci. Può causare la morte per la grave disidratazione, soprattutto in bambini o in anziani, tuttavia con cure adatte la mortalità è contenuta al di sotto dell’1%.