La grandine enorme del Nord Italia e i cambiamenti climatici: parola all’esperto

Pierluigi Randi, tecnico di meteorologia, analizza il legame tra i recenti episodi di grandine enorme al Nord Italia e i cambiamenti climatici
MeteoWeb

Dopo il forte caldo dei giorni scorsi, il Nord Italia viene bersagliato da giorni da fenomeni di maltempo estremo. Tra tutti spicca la grandine, che ha raggiunto dimensioni enormi in molte occasioni e in molte regioni, con conseguente devastazione e persone ferite da pezzi di ghiaccio arrivati anche ad avere 10cm di diametro. Nell’era in cui gridare all’allarmismo climatico è molto facile, c’è chi sta associando queste grandinate estreme ai cambiamenti climatici. Ma è davvero così? A fare luce sull’argomento con un post pubblicato sulla propria pagina Facebook è Pierluigi Randi, tecnico di meteorologia.

Se non ci sono dubbi, ad esempio, sul fatto che le onde di calore abbiano fortemente subito l’impronta del riscaldamento globale divenendo più frequenti, prolungate e intense, sul fenomeno grandine serve qualche distinguo:

1) La Pianura Padana non è nuova a grandinate disastrose; se ne ha traccia, e pure roba tosta, anche in fasi nelle quali il clima era “meno caldo” di oggi; diciamo che è zona da sempre “gradita”. Anche se ovviamente servono i numeri e non i ricordi o le sensazioni.

2) Aumento delle grandinate severe per la tropicalizzazione?

No. La grandine è un fenomeno tipico delle medie latitudini e non di quelle tropicali o equatoriali (anche se non manca neppure in quelle zone, ma con caratteristiche molto diverse e non con quelle “palle da tennis” che abbiamo visto). Medie latitudini poiché serve, sintetizzando all’osso, un adeguato gradiente termico tra le masse d’aria calde e umide sub-tropicali e quelle fredde e secche di origine polare, il quale esaspera i contrasti di temperatura (sia orizzontali che verticali) e intensifica il wind-shear (cambiamento di direzione e velocità del vento con l’altezza), che sono essenziali per le grandinate associate ai temporali. Questi ingredienti mancano ai tropici e all’equatore.

3) L’attribuzione al CC è molto più coerente verso, ad esempio, le onde di calore o eventi di siccità, che non ai fenomeni temporaleschi severi, che hanno scala spaziale e temporale molto inferiore; più si va sul singolo, sul piccolo e sul breve, e più l’attribuzione diviene difficile.

4) Dati capillari di osservazioni ce ne sono, ma piuttosto recenti, dunque estrarre dei trend significativi è difficile.

Fatte le debite premesse, occorre sottolineare come sicuramente il nostro temporalone si giova di aria particolarmente calda e umida nei bassi livelli (da associare però ad un buon windshear) che incide sull’energia potenziale disponibile per la convezione (CAPE) che a sua volta, se è molto elevata, innesca correnti ascensionali più intense e prolungate così da sostenere chicchi sempre più grandi e farli crescere a dovere là dentro la regione di nube ricca di acqua sopraffusa. Dunque, se nei bassi strati l’aria è eccessivamente calda e umida, sicuramente abbiamo un bell’aiutino, e i risultati si stanno vedendo.

Cosa ne dicono coloro che sicuramente hanno più competenze dello scrivente (Taszarek, Pucik, Battaglioli e tanti tanti altri))?

  1. A) Trend ancora non bene delineati, anche se si nota la tendenza ad un aumento dei danni (questo è un tasto delicato), aumento d’intensità, e in linea di massima numero di grandinate stabili con aumento di quelle di grosse dimensioni (favorito da ambienti più instabili; insomma più CAPE) e un calo di quelle di piccole dimensioni.
  2. B) Gli scenari futuri sugli eventi di grandine sono soggetti a grandi incertezze e confidenza che stazza sul modesto, in quanto essi avvengono su piccola scala e non possono essere rappresentati direttamente nei modelli climatici globali e regionali.

Sembra sia probabile un incremento in frequenza di ambienti più instabili ma con incertezza che si fa sentire. Probabile un ulteriore aumento di grandinate severe, per l’aumento di temperatura e umidità di basso livello, e calo di quelle deboli.

In futuro alle nostre latitudini sembra che si vada verso un aumento del CAPE (aria sempre più calda e ricca di vapore acqueo nei bassi strati) e una diminuzione del windshear (spostamento verso Nord dello storm-track, insomma le correnti occidentali più o meno ondulate della fascia temperata che si ritiene salgano di latitudine). L’aumento del CAPE sembra però che possa ampiamente controbilanciare il teorico calo dello shear consentendo ai temporaloni di sparare palle di ghiaccio più grosse.

Vi lascio con altri due grafici recenti (fonte ESSL: European Severe Storm Laboratory, quindi pane per i loro denti) dove sembra che il trend 1950-2022 penalizzi particolarmente proprio il Nord Italia, sia per le grandinate >2 cm che per quelle >5 cm”, conclude Pierluigi Randi nel suo post.

tendenze grandine 1950-2022

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