In un articolo di approfondimento di Salvo Giammanco, Pietro Bonfanti e Marco Neri sul sito di INGV Vulcani si esamina il ruolo del radon dell’Etna e si afferma che: “Il radon è un gas nobile, naturale e radioattivo, inodore, incolore ed insapore, otto volte più pesante dell’aria, che ha origine dal decadimento dell’uranio presente nelle rocce. Da molti anni, in tutto il mondo, si cerca di utilizzare il radon come precursore di fenomeni naturali come terremoti ed eruzioni vulcaniche. Recentemente, però, gli scienziati hanno accertato anche i suoi effetti negativi sulla salute umana prodotti da alte concentrazioni all’interno di abitazioni; infatti, questo gas è stato classificato nel Gruppo 1 delle sostanze cancerogene dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), poiché la prolungata esposizione in ambienti inquinati dal radon aumenta il rischio di contrarre il cancro ai polmoni”.
Come si può leggere sull’articolo sul sito di INGV Vulcani, “nel corso degli ultimi cinquant’anni gli studi sul radon hanno riguardato anche l’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo, focalizzandosi sulle correlazioni tra il radon e l’attività sismica e vulcanica. Qui sintetizziamo i risultati di un articolo scientifico recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Earth Science“.
Il radon e l’attività vulcanica
Inoltre, sull’articolo di INGV Vulcani citato sopra si evince che: “il radon rivela le tendenze evolutive nella sorgente magmatica che alimenta l’Etna. L’analisi periodica del contenuto di radon emesso dall’Etna aiuta a monitorare i possibili cambiamenti a lungo termine nei processi fisici e chimici che interessano la sorgente profonda del magma che alimenta il vulcano. Ciò aiuta a comprendere i processi di degassamento che si verificano all’interno dei condotti del vulcano poco prima delle eruzioni (Figura 1).
Gli autori dell’articolo di approfondimento su INGV Vulcani affermano anche che: “il radon emesso dai crateri sommitali dell’Etna (Figura 2) contribuisce a formare il pennacchio ben visibile fino ad elevate quote sopra la cima del vulcano; questo gas proviene dal degassamento del magma che risiede nella camera magmatica superficiale e nei condotti soprastanti. Elevate concentrazioni di radon nell’aria si trovano lungo i bordi dei crateri; per esempio, ad un metro di altezza dal suolo sono stati misurati valori di radon compresi tra 704 e 8.827 Bq/mc (Bequerel per metro cubo), molto più alti quindi rispetto alla concentrazione massima raccomandata dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità di 300 Bq/mc. Ciò produce un potenziale, seppur limitato, rischio per la salute delle persone che frequentano assiduamente quelle zone e vi sostano a lungo, come scienziati e guide vulcanologiche. Sostanzialmente nessun problema, invece, per i turisti che visitano occasionalmente la cima del vulcano, a circa 3340 m di quota sul mare (punto “1” in Figura 3)”.
Come si legge ancora sull’articolo pubblicato sul sito INGV Vulcani: “Man mano che ci si allontana dalla cinta craterica sommitale, il degassamento avviene in forma diffusa attraverso i pori e le fessure delle rocce. Attorno a 2900 metri di quota, il gas magmatico carico di radon raggiunge la superficie principalmente mediante fratture che intercettano in profondità i condotti di risalita del magma, generando spesso un’intensa attività fumarolica. In quei casi, infatti, l’acqua della falda acquifera contenuta nelle rocce può riscaldarsi fino a raggiungere il punto di ebollizione e vaporizzare, innescando la rapida risalita del vapore acqueo e di altri gas, principalmente CO2, che trasportano il radon (punto “2” in Figura 3). Monitorando questi gas si è compreso che la loro variazione nel tempo può essere utilizzata come precursore di attività vulcaniche, soprattutto esplosive, che frequentemente avvengono dalle bocche sommitali dell’Etna”.
Il radon e le acque della falda sotterranea
Gli autori dell’articolo di approfondimento sul sito dell’INGV Vulcani precisano inoltre che: “il radon nelle acque sotterranee etnee è generalmente presente in quantità modeste e ciò potrebbe sembrare in contrasto con l’alto contenuto di uranio tipico delle rocce vulcaniche che costituiscono l’acquifero etneo. Il fenomeno è probabilmente legato al termalismo che caratterizza le acque di falda etnee, nonché alla correlazione inversa che esiste tra la solubilità del radon e la temperatura dell’acqua: infatti, più è alta la temperatura dell’acqua, meno il radon è solubile nel liquido. Il radon, quindi, abbandona le acque di falda migrando nelle rocce circostanti (punto “3” in Figura 3)”.
Il radon e l’attività sismica
Sull’articolo di approfondimento sopra citato sul sito di INGV Vulcani si può leggere altresì che: “per quanto riguarda la relazione con l’attività sismica, il monitoraggio del gas radon nei suoli etnei in stazioni di misura situate in prossimità di faglie attive può evidenziare variazioni “anomale” che anticipano l’attività tettonica di tali faglie da poche settimane a poche ore, anche se con grandi incertezze (punto “4” in Figura 3). Infatti, in molti casi le variazioni di radon sono state registrate in assenza di attività sismica, a dimostrazione dell’attuale inaffidabilità del metodo quale precursore sismico. Tuttavia, le misure di radon nel suolo sono estremamente utili per identificare l’ubicazione di faglie sepolte, poiché il rilascio di radon aumenta sensibilmente in prossimità delle zone di maggiore fratturazione (punti “5” e “6” in Figura 3). L’applicazione sistematica delle misure di radon nel suolo potrebbe, quindi, rivelarsi molto utile nella stesura di carte geologiche di luoghi in cui le colate laviche recenti nascondono le evidenze superficiali di strutture tettoniche attive”.
Il pericolo del radon indoor
In conclusione, sull’articolo del sito INGV Vulcani si legge che: “il monitoraggio del radon indoor nell’area dell’Etna ha individuato alcune abitazioni caratterizzate da significativi accumuli di radon (fino a 3.549 Bq/mc), ben al di sopra dei limiti fissati dagli organi preposti alla salvaguardia della salute pubblica (soglia di attenzione = 100 Bq/mc; soglia massima raccomandata 300 Bq/mc). I livelli di radon indoor più elevati sono stati riscontrati negli edifici situati più vicino alle faglie (punti “5” e “6” in Fig. 3). Ciò significa che, in prospettiva futura, sarebbe utile effettuare misure preliminari di degassamento del radon dal suolo, in particolare sui fianchi est e sud del vulcano, sia in occasione di studi generali di pianificazione territoriale, sia a scala più dettagliata, in corrispondenza di ogni singola abitazione o di edifici destinati a costante frequentazione (come ospedali, scuole, uffici, ecc.). La riduzione del rischio sanitario può essere ottenuta attraverso l’attuazione di adeguate tecniche costruttive degli edifici, quali ventilazione forzata dei locali, vespai per l’aerazione delle fondazioni, posa di rivestimenti anti radon e sigillatura di fessure”.