Il Telescopio spaziale James Webb trova acqua a 370 anni luce da noi

Il James Webb Space Telescope (JWST) stupisce ancora e si conferma l’osservatorio spaziale più potente di cui dispone la comunità scientifica al momento
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Il James Webb Space Telescope (JWST) stupisce ancora e si conferma l’osservatorio spaziale più potente di cui dispone la comunità scientifica al momento. Utilizzando il telescopio di NASA ed ESA, la collaborazione MINDS (MIRI mid-INfrared Disk Survey), un team di ricerca guidato dall’Istituto Max Planck per l’Astronomia e a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha scoperto acqua nella regione interna di un disco di gas e polvere attorno alla giovane stella PDS 70, a circa 370 anni luce di distanza da noi.

Gli astronomi si aspettano che dei pianeti rocciosi – quindi di tipo terrestre – si stiano formando in quella zona. Come descritto in un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature, si tratta del primo rilevamento di questo tipo in un disco di gas e polveri che ospita già almeno altri due pianeti. Dall’analisi dei dati raccolti, risulta che eventuali pianeti rocciosi nati nel disco interno beneficerebbero di una significativa disponibilità d’acqua, migliorando le possibilità di sviluppare condizioni favorevoli alla vita. I ricercatori riescono quindi a provare che esiste un meccanismo che fornisce acqua a pianeti potenzialmente abitabili già durante la loro formazione.

Sulla Terra, l’acqua è alla base della vita come la conosciamo. Lo scenario attualmente più accreditato suggerisce che l’acqua sia arrivata sul nostro pianeta a seguito dei violenti impatti con asteroidi e comete che bombardarono la superficie del giovane pianeta. Ora, gli esperti ritengono però che l’acqua potrebbe essere disponibile sin dalla nascita di questi pianeti.

La scoperta

Alessio Caratti o Garatti, ricercatore dell’INAF di Napoli e co-autore dello studio, commenta: “La scoperta di acqua intorno a PDS 70, una stella ancora in formazione e un pò meno massiccia del nostro Sole, ha un’importanza molteplice. Prima di tutto perché PDS 70 è l’unica stella giovane in cui sono stati osservati direttamente due pianeti in formazione (probabilmente dei giganti gassosi) posizionati nelle regioni esterne del disco.  Quindi ci aspettiamo che ce ne possano essere altri di tipo roccioso in formazione nelle regioni più interne e non ancora osservati”. E aggiunge: “Il fatto più importante è che l’acqua osservata è situata proprio in questa regione interna, quindi ora sappiamo che possibili pianeti in formazione hanno una riserva d’acqua da cui possono attingere”.

Le osservazioni sono state effettuate sfruttando lo strumento MIRI (Mid-InfraRed Instrument) a bordo del James Webb. Secondo l’analisi dei dati, l’acqua è sotto forma di vapore caldo, compatibile con una temperatura di circa 330 gradi Celsius (600 kelvin). PDS 70 è il primo disco relativamente “anziano” – dall’età stimata di circa 5,4 milioni di anni – in cui gli astronomi abbiano trovato l’acqua.

Nel corso del tempo, il contenuto di gas e polvere dei dischi che formano i pianeti diminuisce. Poiché studi precedenti non erano riusciti a rilevare l’acqua nelle regioni centrali di dischi simili, gli astronomi hanno sempre sospettato che potesse non sopravvivere alla radiazione stellare, portando così i pianeti rocciosi a formarsi in ambienti asciutti e aridi.

Le osservazioni di MIRI confermano, però, che dopotutto i perimetri interni dei dischi privi di polvere potrebbero non essere così asciutti. In tal caso, molti pianeti terrestri che si formano in quelle zone potrebbero già nascere con un ingrediente chiave per garantirne l’abitabilità. Di pianeti rocciosi nel disco di PDS 70 non vi è traccia al momento, poiché sarebbero troppo deboli e vicini alla stella per essere osservati direttamente con gli attuali strumenti a disposizione.

PDS 70 b e c sono gli unici due pianeti, gassosi, all’interno di questo sistema planetario. I due oggetti hanno accumulato polvere e gas orbitando attorno alla loro stella ospite, creando un ampio spazio anulare quasi privo di qualsiasi materiale rilevabile. Ma da dove viene questo vapore acqueo?

L’acqua trovata all’interno del disco potrebbe essere un residuo di una nebulosa inizialmente ricca di questa molecola. Un’altra fonte potrebbe essere polvere interstellare ricca di acqua e gas che entrano dai bordi esterni del disco di PDS 70. In determinate circostanze, l’ossigeno e l’idrogeno gassoso possono combinarsi e formare vapore acqueo.

“La verità sta probabilmente in una combinazione di tutte queste opzioni”, afferma Giulia Perotti, prima autrice dello studio e ricercatrice presso l’istituto Max Planck per l’Astronomia ad Heidelberg, in Germania. “Tuttavia, è probabile che un meccanismo svolga un ruolo decisivo nel sostenere il serbatoio d’acqua del disco PDS 70. Il nostro compito in futuro sarà scoprire qual è”.

“JWST sta rivoluzionando la nostra comprensione della formazione planetaria, rivelandoci la diversità e la ricchezza della chimica dei dischi, ovvero dell’habitat in cui i pianeti si formano”, conclude Alessio Caratti. “Il progetto JWST MIRI mid-Infrared Disk Survey (MINDS) ha proprio lo scopo di studiare questo habitat in un numero significativo di stelle di tipo solare in formazione”.

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