Trovato l’orologio che regola “la sveglia” delle piante

Individuato l'orologio che regola la fioritura delle piante e che le sveglia in anticipo a causa delle temperature più elevate
MeteoWeb

Individuato l’orologio che regola la fioritura delle piante e che le sveglia in anticipo a causa delle temperature più elevate: un effetto negativo del cambiamento climatico che si traduce in meno frutti, meno semi e biomassa ridotta. Lo ha trovato lo studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia Nazionale americana delle Scienze, Pnas, guidato dalla Commissione francese per l’energia atomica e le energie alternative, il Centro Nazionale francese per la ricerca scientifica ed il Laboratorio europeo per la luce di sincrotrone a Grenoble.

La scoperta apre la strada anche a una possibile soluzione del problema perchè dimostra che l’orologio della fioritura può essere resettato introducendo nella pianta un gene modificato, in modo da aiutare le colture ad adattarsi alle temperature in aumento. La chiave dell’orologio delle piante è una proteina chiamata Elf3, che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dello sviluppo: integra vari segnali ambientali, come luce e temperatura, con altri provenienti dalla pianta stessa, per regolare l’espressione dei geni responsabili dalla fioritura e della crescita.

I ricercatori guidati da Stephanie Hutin del Cea hanno scoperto che, all’aumentare della temperatura, Elf3 subisce un processo chiamato ‘separazione di fase’: significa che coesistono due fasi liquide diverse della proteina, un po’ come quando si uniscono acqua e olio. “Se riuscissimo a resettare questa separazione di fase che avviene in funzione della temperatura, potremmo ritardare la fioritura delle piante che si trovano ad affrontare climi più caldi, permettendo loro di crescere meglio e produrre più frutti e semi”, osserva Hutin. “Pertanto, il prossimo passo sarà aggiungere una forma diversa del gene che porta le istruzioni per la proteina Elf3 e vedere che cosa succede quando coltiviamo le piante a temperature maggiori. Se il nostro modello fosse corretto – conclude la ricercatrice – potremmo fare lo stesso nelle colture in difficoltà a causa della crisi climatica”.

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