Barriera corallina: solo un intervento di gestione integrata terra-mare può salvare la biodiversità

Un nuovo studio di Nature ha raggiunto la conclusione che per salvaguardare le barriere coralline occorre una gestione integrata terra-mare, limitando l'impatto dei cambiamenti climatici antropogenici
MeteoWeb

Un recente studio pubblicato su Nature esamina come gli sforzi di mitigazione del clima e dell’impatto dell’uomo sull’ambiente terrestre e marittimo abbia ridotto i danni alla barriera corallina, durante un’ondata di calore marino senza precedenti alle Hawaii nel 2015. Gli esperti hanno riscontrato segni di persistenza e di miglioramento delle condizioni della barriera corallina dopo l’ondata di calore stesso. Gli ecosistemi della barriera corallina hanno avuto conseguenze tangibili a causa delle attività antropogeniche locali e delle ondate di calore marine che innescano lo sbiancamento dei coralli marini e, purtroppo, la loro mortalità sul lungo termine.

I risultati dello studio intendono dimostrare il potenziale delle strategie di gestione combinata terra-mare per la protezione e la tutela delle barriere coralline. Gli ecosistemi della barriera corallina sono spesso colpiti dall’attività umana sulla terra e sul mare; l’inquinamento terrestre include, ad esempio, la contaminazione delle acque reflue, e l’impatto umano in ambiente marino include, invece, la pesca eccessiva. I coralli sono particolarmente vulnerabili ai periodi prolungati in cui l’oceano registra temperature anomale, note come ondate di calore marine, che possono causare lo sbiancamento del corallo che ne compromette la salute.

I cambiamenti climatici antropogenici hanno effetti gravi sulle barriere coralline

Jamison Gove, Gareth Williams e colleghi hanno valutato gli effetti dell’impatto umano in ambiente terrestre e marittimo, in rapporto ai cambiamenti della barriera corallina intorno alle Hawaii nel periodo 2003-2019. Questo periodo è stato caratterizzato dall’ondata di calore marina più grave delle isole Hawaiiane che è stata registrata nel 2015, quando le temperature degli oceani sono state 2,2°C più calde del normale. Durante tutto il periodo preso in esame dagli autori dello studio, la copertura corallina è aumentata in alcune aree, diminuita o rimasta stabile.

Le pratiche di mitigazione climatica da parte dell’uomo hanno avuto come effetto l’incremento della copertura corallina prima dell’ondata di caldo e una riduzione della perdita di corallo durante l’ondata di caldo. Inoltre, le barriere coralline con più pesci erbivori e un’esposizione minore alle attività antropogeniche hanno aumentato la copertura della barriera corallina con più tipi di corallo essenziali per la crescita della barriera corallina, rispetto alle barriere coralline con una ridotta popolazione di pesce e un’esposizione maggiore allo stress climatico e all’impatto delle attività umane.

La riduzione dell’inquinamento terrestre e marino

Ridurre l’impatto delle attività umane sulle barriere coralline si traduce in una probabilità tre o sei volte maggiore che una barriera corallina possa avere un incremento della copertura quattro anni dopo la fonte di disturbo. Per la sopravvivenza dei coralli, sono state previste delle pratiche ambientali internazionali per proteggere il 30% degli ecosistemi terrestri e oceanici entro il 2030.

Le aree costiere contengono alcuni degli ecosistemi marini più biologicamente diversi e produttivi della Terra. Ma, con quattro volte la densità della popolazione che vive entro 20 km dall’oceano rispetto al resto del mondo, è fondamentale attuare delle pratiche che limitano le attività dell’uomo nel rispetto dell’equilibrio degli ecosistemi marini. Senza contare che le zone costiere sono anche colpite da disturbi più forti e più frequenti a causa del cambiamento climatico indotto dall’uomo.

Le pratiche ambientali da attuare

Questi fattori di stress causato dalle attività dell’uomo sono particolarmente acuti negli ambienti marini in cui sono presenti le barriere coralline tropicali. Infatti, in queste aree fino al 90% della popolazione locale vive lungo il litorale. Questi fattori di stress terrestri, come l’inquinamento delle acque reflue, si combinano ai fattori di stress marino, come la pesca eccessiva, e si ripercuotono sui naturali ritmi ecologici su larga scala.

La motivazione dietro il progetto “30 da 30” è sostenere la resilienza ecologica, conservare la biodiversità e preservare i servizi degli ecosistemi che sostengono il benessere umano. Questa pratica ha ricevuto un’ampia partecipazione e viene incorporata negli sforzi internazionali di conservazione della biodiversità. Tuttavia, i risultati dello studio hanno fatto emergere che la sola gestione deglo ambienti marittimi è insufficiente per mitigare l’intero spettro degli effetti dell’impatto delle attività antropogeniche sugli ecosistemi costieri, come le barriere coralline. Nella maggior parte delle aree costiere, la protezione del 30% è impraticabile ed immorale, data l’alta percentuale di persone che vivono vicino e dipendono da questi ecosistemi marittimi.

Al contrario, mitigare l’impatto terrestre, come quello che deriva dall’inquinamento delle acque reflue, associandolo alle restrizioni della pesca, può produrre risultati di conservazione efficaci e compatibile con le pratiche di lunga data per la gestione marittima da parte degli abitanti locali per la tutela degli ecosistemi insulari. Solo adottando le politiche ambientali di gestione integrata terra-mare, accanto alle riduzioni delle emissioni globali, si potranno salvaguardare gli ecosistemi che ruotano intorno alla barriera corallina in un mondo soggetto al cambiamento climatico antropogenico.

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