Continua e si conclude con quest’articolo la breve analisi della storia delle trombe d’aria più importanti avvenute nel nostro paese, ad opera del geologo Giampiero Petrucci, storico collaboratore di MeteoWeb particolarmente competente sui temi ambientali. In conclusione della nostra rassegna ci focalizziamo sul “mostro della laguna”, quel drammatico 1970 di morte e terrore a Venezia.
Non esiste al mondo una città come Venezia. La tradizione vuole che sia stata fondata nell’anno 421 da alcuni profughi di Aquileia scampati alle scorribande dei barbari e rifugiatisi nelle isole della laguna, difficili da raggiungere per i guerrieri a cavallo. Costruita direttamente e letteralmente sull’acqua, Venezia da sempre ha trovato proprio nell’acqua la sua fonte di vita, gloria e ricchezza. Nella sua storia millenaria però la città è stata soggetta più volte a disastri naturali, primi fra tutti gli eventi atmosferici estremi. Senza dimenticare ovviamente il particolarissimo fenomeno dell’acqua alta. Qui vogliamo invece occuparci di altri fenomeni, altrettanto particolari ed ancor più deleteri per le infrastrutture ed i cittadini: le trombe d’aria.
Alcuni libri antichi, tra cui il prezioso “Memorie per servire alla storia letteraria e civile” di Francesco Aglietti, edito nel 1793, narrano di “cicloni” che investono Venezia già nel Medioevo ma dei quali si hanno notizie scarse e poco attendibili. Più certo il turbine che devasta la Serenissima nell’agosto del 1657: il monastero di Santa Maria Maggiore è praticamente raso al suolo, l’Arsenale subisce seri danni, molte imbarcazioni sono rovesciate e addirittura si tenta di fermare il vento con…cannonate (sic). L’evento viene considerato di intensità F2 come la tromba marina che percorre l’intera laguna nel 1708, provocando la morte di quattro pescatori. Nel 1824 un altro fenomeno atmosferico violento colpisce le isole di S. Michele e Murano, con gravi danni.
Ma l’evento che più di ogni altro rimane nella memoria dei veneziani accade l’11 settembre del 1970. Quel giorno si verificano particolari condizioni atmosferiche, con un fronte freddo di origine polare che, varcate le Alpi, entra in Pianura Padana, scontrandosi con l’aria calda subtropicale, di stampo prettamente estivo, stagnante al suolo. Ciò provoca il formarsi di forti precipitazioni generate da un intenso sistema temporalesco all’interno del quale, intorno alle ore 20.45, si sviluppa una tromba d’aria, anzi un vero e proprio tornado di stampo “americano” data la sua persistenza spazio-temporale che risulterà, come vedremo, eccezionale.
Il turbine si genera sui Colli Euganei, tra Teolo e Rovolon: la sua forza è fin da subito devastante, scoperchia case, abbatte alberi e provoca un morto. Procede quasi in linea retta, in direzione all’incirca sud-ovest/nord-est, su un fronte di almeno 100 metri e con velocità del vento che superano i 220 km/h. Per questo sarà classificato di categoria F4, dunque un evento piuttosto forte. Nel suo incedere impetuoso sfiora Padova, passando nella sua periferia meridionale (Abano, Albignasego) e prosegue la sua corsa verso oriente: alle 21.15 è a Vigonovo, alle 21.23 a Dolo. Numerosi in queste cittadine le case lesionate ed i feriti. Gli orari di passaggio sono stati ricostruiti grazie alle numerose testimonianze che hanno permesso di stabilire pressoché esattamente le caratteristiche di questo fenomeno estremo, diventato ancor più violento avvicinandosi a Venezia, riprendendo probabilmente vigore dall’umidità delle acque lagunari.
Dopo aver provocato danni anche a Mira, alle 21.27 la tromba d’aria è a Fusina, praticamente sulla riva del mare, alla foce del Brenta: devasta un campeggio, sollevando tende e roulottes, abbattendo oltre duemila alberi e diversi tralicci, provocando un’altra vittima. Quindi entra in mare e raggiunge Venezia, sfiorando a sud l’isola della Giudecca ma centrando in pieno l’isola delle Grazie e l’ospedale omonimo, ricovero per i pazienti affetti da malattie infettive, il cui tetto viene completamente asportato. Ulteriormente rinvigorito dal trovarsi sul mare, il tornado penetra nel bacino di S. Marco dove alle 21.36 si compie la tragedia più grande. Nei pressi dell’isola di S. Elena sta navigando un vaporetto, identificato dal numero 130, che sta svolgendo il suo normale lavoro di traghettamento. La barca viene letteralmente capovolta dalla furia del vento e va a fondo nel giro di pochi minuti. A bordo vi sono circa 50 persone tra passeggeri ed equipaggio. L’acqua penetra all’interno e sono immaginabili le scene di panico conseguenti. 21 sfortunati non ce la fanno, annegano. Gli altri si salvano a stento, trovando fortunosamente una via d’uscita, nuotando nel buio, aggrappandosi ai relitti, raggiungendo la vicina riva dell’isola dove sono subito aiutati. L’intera zona circostante è devastata: il famoso cantiere Celli non esiste più, lo stadio “Penzo” subisce gravi danni (i seggiolini della tribuna finiscono in mare), il collegio navale “Morosini” è fortemente lesionato, con gli allievi che escono immediatamente a portare i primi soccorsi ai naufraghi; non si contano le case scoperchiate. “Una roba mai vista”, è il commento di tutti.
Ma purtroppo non finisce qui. Cinque minuti dopo il tornado arriva sul Lido, fortunatamente nella sua parte più settentrionale, la meno popolata. Anche qui provoca danni, con edifici scoperchiati ed alberi abbattuti. Nell’aeroporto di S. Nicolò diversi aerei vengono rovesciati, sollevati, semidistrutti. La sottile striscia sabbiosa del Lido è l’ultima terra prima del mare aperto, ma il turbine devia leggermente verso nord ed alle 21.41 tocca Punta Sabbioni ed il Litorale del Cavallino, in terraferma. Qui si abbatte con furia estrema sul campeggio “Vianello” di Cà Savio ed è un’altra tragedia. La struttura viene difatti rasa praticamente al suolo, con auto sollevate e trasportate fino a 500 metri di distanza: alcune saranno ritrovate perfino in mare. La pinetà non esiste più, la devastazione è totale, con scenari simili a quelli di un bombardamento a tappeto, come testimoniato anche dalle foto scattate la mattina seguente. 12 i morti in questa località.
Finalmente il vortice oltrepassa il litorale, sbocca in mare aperto e si esaurisce nei pressi di Jesolo. Il bilancio è pesantissimo: 36 morti, almeno 500 feriti, danni per oltre 5 miliardi di lire. Tutto questo dopo aver percorso una settantina di km in poco più di un’ora. Risulta dunque, certamente, la tromba d’aria che ha provocato il maggior numero di vittime in Italia negli ultimi 60 anni. Ma ciò che è ancor più eccezionale pare lo sviluppo, la forza, le caratteristiche di questo fenomeno estremo che, pur risultando unico per le conseguenze, non rimane isolato.
Il 12 giugno 2012, intorno alle 11 di mattina, l’evento si ripete, sia pure in proporzioni più ridotte, a dimostrazione comunque di come Venezia e la Laguna siano soggette alle trombe d’aria. Col cielo divenuto improvvisamente scuro, un vortice colpisce di nuovo l’isola di S. Elena dove scoperchia alcuni edifici, compresi una chiesa e la biglietteria dell’Actv, l’azienda di trasporto pubblico. Danni anche sull’isola di S. Servolo, alla Certosa ed al Lido, ma la zona più colpita risulta l’isola di S. Erasmo, “l’antico granaio” di Venezia dove esistono comunque ancora diverse aziende agricole che subiscono i danni maggiori: le colture di stagione vengono difatti praticamente strappate dal terreno, distrutte vigne e serre, abbattuti alberi secolari come il famoso bagolaro, la più vecchia pianta dell’isola coi suoi oltre 150 anni di vita. Alla fine nessun ferito ed una trentina di imbarcazioni danneggiate per un altro evento distruttivo che colpisce l’impareggiabile Venezia e la sua splendida Laguna, come sempre accaduto nella sua storia (un altro evento analogo e più recente si è verificato l’11 marzo 2019).