Il 3 settembre in Spagna sono cadute piogge torrenziali in poche ore, seguite da piogge molto forti e inondazioni causate dal sistema di bassa pressione “Daniel” in Grecia e Bulgaria tra il 4 e il 7 settembre, e inondazioni devastanti in Libia dopo piogge molto estreme il 10 settembre. Tutti e tre i singoli eventi piovosi hanno causato gravi inondazioni, sommergendo insediamenti, lasciando migliaia di sfollati e uccidendo almeno 4 persone in Bulgaria, 6 in Spagna, 7 in Turchia e 17 in Grecia. In Libia, le cifre sono discordanti, ma si parla di 11.000 vittime e 10.000 persone ancora disperse dopo la rottura di due importanti dighe.
Ricercatori provenienti da Grecia, Stati Uniti d’America, Paesi Bassi, Germania e Regno Unito hanno collaborato per valutare in che misura il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha alterato la probabilità e l’intensità delle forti piogge che hanno portato alle inondazioni. Ecco i risultati dello studio condotto da un team internazionale di scienziati del clima del gruppo World Weather Attribution (WWA).
Per catturare le diverse caratteristiche delle forti piogge e delle conseguenti inondazioni, il team si è concentrato su due regioni per valutare il ruolo del cambiamento climatico. Una zona è quella compresa tra Grecia, Bulgaria e Turchia. Dato che la regione riceve poca pioggia durante l’estate ma molto di più in inverno, per questo evento gli esperti si sono concentrati sulle precipitazioni massime di 4 giorni nella stagione estiva. Nello studio, gli esperti hanno anche esaminato le precipitazioni annuali massime di un giorno in una regione più piccola della Libia dove è caduta la maggior parte delle forti piogge che hanno portato alle devastanti inondazioni a Derna e nell’area circostante. “Non valutiamo il ruolo del cambiamento climatico per l’evento in Spagna perché la pioggia è caduta in meno di 24 ore”, viene precisato.
I risultati chiave dello studio
Le gravi inondazioni in Spagna, Grecia, Turchia, Bulgaria e Libia sono state causate da forti piogge cadute in meno di 24 ore nel caso della Spagna, mentre in Libia sono durate 24 ore e in Grecia e Turchia fino a 4 giorni. Per Libia e Spagna, gli esperti hanno quindi valutato il periodo di ritorno del massimo annuo di precipitazioni accumulate su 1 giorno; per la Grecia centrale e la regione più ampia circostante il massimo annuo di precipitazioni su 4 giorni. In sintesi, gli esperti del WWA affermano che il tempo di ritorno per l’evento in Spagna è compreso tra 1 su 10 e 1 su 40 anni; per la Grecia centrale è un evento da 1 su 80 a 1 su 250 anni; per la grande regione Grecia-Bulgaria-Turchia è un evento da 1 su 5 a 1 su 10 anni; e sulla Libia è un evento da 1 su 300 a 1 su 600 anni. In Libia l’entità dell’evento è molto al di fuori di quella degli eventi precedentemente registrati, sottolineano gli esperti del WWA.
Per valutare il ruolo del cambiamento climatico, il team ha combinato i prodotti basati sull’osservazione e modelli climatici e valutato i cambiamenti nella probabilità e nell’intensità di un evento di 4 giorni che si verifica 1 volta su 10 anni sulla regione più ampia che comprende la Grecia e le parti di Turchia e Bulgaria che sono state colpite dalle inondazioni, così come dell’evento di massima pioggia in 1 giorno da una volta su 600 anni in Libia. Per la vasta regione che comprende la Grecia e parti della Bulgaria e della Turchia, lo studio ha rivelato che il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha reso un evento estremo quanto quello osservato fino a 10 volte più probabile e fino al 40% più intenso. Un evento estremo come quello osservato sulla Libia è diventato fino a 50 volte più probabile e fino al 50% più intenso rispetto a un clima più fresco di 1,2°C, secondo i risultati dello studio.
“L’incertezza in queste stime è elevata e comprende la possibilità che non vi siano cambiamenti rilevabili, ma ci sono molteplici ragioni per cui possiamo essere certi che il cambiamento climatico abbia reso gli eventi più probabili: dalla teoria sappiamo che ci si aspetterebbe un aumento dell’intensità delle precipitazioni di circa il 10% dati gli attuali livelli di riscaldamento, quindi potremmo solo riferire che non vi è stato alcun cambiamento se ci fosse un processo dinamico ben noto che contrasta questo effetto, cosa che non c’è. Gli studi focalizzati sulle precipitazioni estreme con futuro riscaldamento mostrano anche un aumento delle forti piogge, rendendo probabile che l’aumento osservato delle forti piogge sia effettivamente una tendenza dovuta al cambiamento climatico. Per questi motivi, non forniamo una stima centrale dell’influenza del cambiamento climatico, come negli studi precedenti, ma forniamo invece un limite superiore dell’effetto”, scrivono gli autori dello studio.
Grecia
In Grecia, questa è stata un’estate caratterizzata da ondate di caldo e incendi estremi, incluso il più grande incendio mai registrato nell’UE, seguito dal ciclone Daniel che ha devastato il centro del Paese. La deforestazione e tassi relativamente elevati di urbanizzazione hanno modificato il paesaggio nel tempo, aumentando il numero di persone e beni esposti alle inondazioni e riducendo il drenaggio delle acque piovane, si legge ancora nello studio.
Libia
In Libia, il volume dell’acqua e la tempistica dei cedimenti delle dighe hanno fatto sì che chiunque si trovasse sul percorso dell’acqua fosse maggiormente a rischio, non solo coloro che sono tipicamente altamente vulnerabili. Inoltre, il conflitto in corso e la fragilità dello Stato in Libia hanno aggravato gli effetti delle inondazioni, contribuendo alla mancanza di manutenzione e al deterioramento delle infrastrutture delle dighe nel tempo e aumentando il rischio per le persone e gli impatti conseguenti. Il conflitto limita anche la pianificazione e il coordinamento dell’adattamento a livello nazionale in una serie di questioni climatiche che il Paese deve affrontare, come la scarsità d’acqua e condizioni meteorologiche estreme, tra cui il caldo e le inondazioni.
Oltre alla mancanza di manutenzione, le dighe di Al-Bilad e Abu Mansour furono costruite negli anni ’70, utilizzando registrazioni delle precipitazioni relativamente brevi, e potrebbero non essere state progettate per resistere a un evento piovoso da 1 su 300-600 anni. “Sarà necessaria una revisione completa a posteriori che esamini i criteri di progettazione delle dighe per comprendere la misura in cui la progettazione delle dighe e la mancanza di successiva manutenzione hanno contribuito al disastro. Nonostante ciò, i cedimenti catastrofici delle dighe e i loro impatti possono essere limitati attraverso protocolli di riduzione del rischio che includono il monitoraggio in tempo reale delle previsioni, dei volumi d’acqua e dei sistemi di allarme che avvisano coloro che si trovano a valle di possibili cedimenti e della necessità di evacuare”, spiegano gli autori dello studio.
“Anche se in Libia c’era una previsione con un anticipo di 3 giorni sulla traiettoria del ciclone Daniel, l’impatto di quella potenziale pioggia sulle infrastrutture e sulle persone non è stato chiaramente compreso in anticipo. Inoltre, non è chiaro in che misura le previsioni e le allerte siano state comunicate e ricevute dal pubblico in generale o dai servizi di emergenza competenti. Insieme a una migliore capacità di gestione delle emergenze, le previsioni basate sull’impatto potrebbero aiutare a fornire una comprensione più chiara di come le precipitazioni si traducono in potenziali impatti e potrebbero portare a migliori allerte in futuro”, affermano gli esperti del WWA. “Questo disastro evidenzia anche la sfida rappresentata dalla necessità di progettare e mantenere le infrastrutture non solo per il clima del presente o del passato, ma anche per il futuro. In Libia, ciò significa tenere conto del calo a lungo termine delle precipitazioni medie e, allo stesso tempo, dell’aumento delle precipitazioni estreme come questo evento di forti piogge; una prospettiva impegnativa, soprattutto per un Paese afflitto dalla crisi”, concludono.