Alluvione Libia, geologi: “caratteristiche pluviometriche eccezionali, ennesima dimostrazione della vulnerabilità dell’area mediterranea”

Alluvione Libia, il geologo Massimiliano Fazzini: “caduti in alcune aree comprese tra Derna ed Al Beyda oltre 430mm di pioggia in circa 24 ore"
MeteoWeb

Il disastro idrogeologico che ha colpito la zona di Derna in Libia è l’ennesima dimostrazione della vulnerabilità dell’area mediterranea nei confronti degli eventi meteorologici estremi. In un contesto generalizzato di cambiamento climatico e di consumo di suolo non regolato, le catastrofi di questo tipo sono purtroppo inevitabili. È necessario fare prevenzione in tempo di “pace” mettendo in campo le migliori tecnologie per il monitoraggio del territorio e la sicurezza delle infrastrutture critiche”. Lo ha dichiarato il Prof. Nicola Casagli, Presidente Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.

Caratteristiche pluviometriche eccezionali

“Il catastrofico evento alluvionale che ha distrutto alcune aree della Cirenaica presenta caratteristiche pluviometriche davvero eccezionali, essendo caduti in alcune aree comprese tra Derna ed Al Beyda – oltre 430mm di pioggia in circa 24 ore. Se si considera che la precipitazione media annuale relativa al CLINO 1981-2010 assomma a circa 360mm sulla costa e 550mm sull’altopiano, si deduce che le precipitazioni hanno assunto carattere di assoluta eccezionalità. A provocare tali eventi estremi – ha affermato Massimiliano Fazzini, Coordinatore del Team sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale – è stato un ciclone mediterraneo che, dopo avere interessato i Balcani meridionali si è diretto verso il Mediterraneo meridionale, dove ha attinto ulteriore energia dal mare ancora molto caldo – circa 27,5°C in superficie – e si è trasformato in tempesta subtropicale e, con ogni probabilità, in prossimità delle coste libiche e seppur brevemente, in Medicane, assumendo una classica connotazione termodinamica a “cuore caldo, con venti che sulla costa di Bengasi avrebbero sfiorato i 100 nodi. La tendenza ad un aumento della frequenza di tali conformazioni di pressione che per molti aspetti assomigliano ai cicloni tropicali sembrerebbe evidentemente dipendere dal deciso riscaldamento del “Mare Nostrum”, nel quale la SST è aumentata di circa 0,7°C negli ultimi 50 anni. Dunque è altresì lecito addebitare una maggiore probabilità di accadimento di tali ciclo genesi alla crisi climatica in atto anche se la statistica ancora non ce  lo permette. La conseguenza è un aumento esponenziale del rischio climatico s.l. ed in particolare di quello idrologico ed idrogeologico oltre che di storm surge; condizioni particolarmente rischiose in periodi di stagionalità turistica. Occorre affrontare un processo di adattamento più rapido ed efficace possibile; sia di tipo “soft, sia di tipo hard con interventi di mitigazione del rischio anche imponenti, nel pieno rispetto di un ambiente tanto incantevole quanto fragile”.

Potenziare la previsione per contenere gli effetti

Quello che è accaduto sulle coste meridionali del Mar Mediterraneo, è accaduto lo scorso anno nelle Marche e a Ischia; la scorsa primavera ancora in Emilia Romagna e negli anni precedenti in Piemonte, Liguria, Sardegna, Sicilia, Puglia. Ogni evento successivo che colpisce un territorio circoscritto e diverso, fa dimenticare il dramma della popolazione e i danni al sistema produttivo causati dal dissesto geo-idrologico precedente. Con gli eventi climatici estremi che generano sempre più frequenti devastanti alluvioni e frane abbiamo la possibilità e il dovere di potenziare la previsione per contenere gli effetti con la realizzare le opere di prevenzione e il monitoraggio per individuare le priorità di intervento. La prevenzione va fatta anche con la pianificazione adeguata agli scenari climatici attuali – ha dichiarato il geologo Antonello Fiore, Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale – e dobbiamo avere anche il coraggio di trasferire le aree urbanizzate e le infrastrutture che non possono essere messe in sicurezza. Il dramma che ha vissuto la Libia orientale, migliaia di morti e dispersi, è stato aggravato dal crollo di due dighe. Le grandi infrastrutture, costruite decenni fa, sono fortemente soggette al rischio climatico e per questo vanno adeguati gli scenari di rischio e implementato al massimo il monitoraggio; principi questi che valgono per tutti e soprattutto per noi, senza perdere altro tempo”.

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