Cuore e cervello non più così distanti. Segnali chimici e funzionali alterati che provengono dal nostro cuore possono causare cambiamenti nell’attività cerebrale, modificando il comportamento in animali da esperimento. Questo quanto emerge dallo studio intitolato “Cardiac AC8 over-expression increases locomotion by altering heart-brain” communication pubblicato dalla prestigiosa rivista americana “The Journal of the American College of Cardiology” (Clinical Electrophysiology), e coordinato dal dott. Jacopo Agrimi del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, dove ricercatori delle Università di Padova e Pisa, della Johns Hopkins e del National Institute of Aging di Baltimora hanno evidenziato come il cervello interpreti i segnali in uscita dalle cellule elettriche del muscolo cardiaco (responsabili di un aumento della frequenza del battito) – come un invito/impegno a confrontarsi con una situazione di “esercizio sostenuto/permanente” – inviando perciò al cervello dell’animale appropriati comandi (via segnali chimici e nervosi) atti a promuovere uno stato di sostenuta attività locomotoria.
Jacopo Agrimi e Nazareno Paolocci dell’Università di Padova, Danilo Menicucci e Angelo Gemignani dell’Ateneo di Pisa e i colleghi di Baltimora, hanno utilizzato topi in cui è stato geneticamente aumentato il livello, e quindi l’attività, di un particolare enzima chiamato adenilato ciclasi di tipo 8 (AC8) a livello delle cellule che imprimono il ritmo cardiaco. Questo enzima promuove la sintesi di segnali chimici (ormoni) che sono fondamentali per aumentare la frequenza dei battiti cardiaci e la forza di contrazione del muscolo cardiaco. E alcuni di essi, come la dopamina, sono anche fondamentali per la perfetta esecuzione dei nostri movimenti volontari.
Nello specifico, Agrimi e colleghi hanno osservato che questi topi, denominati transgenici per AC8 (TGAC8), vivono in una condizione di “esercizio fisico permanente”. In essi, infatti, non sono aumentati la frequenza e la forza di contrazione del muscolo cardiaco soltanto, ma anche il tempo da loro speso in movimento (rispetto allo stato di riposo) e la velocità media con cui si muovono nell’ambiente a loro circostante. Questo è quanto emerso da specifici tests comportamentali eseguiti alla Johns Hopkins e universalmente utilizzati per studiare diversi aspetti del comportamento di questi animali. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato inoltre un sofisticato approccio funzionale, presente nel laboratorio diretto dal Prof. Edward Lakatta (National Institute of Aging, Baltimore), che consiste nell’impiantare dei dispositivi in grado di monitorare continuamente e contemporaneamente sia la frequenza cardiaca, sia le onde cerebrali (attraverso un elettroencefalogramma). Con questo approccio, i ricercatori hanno studiato in dettaglio le modificazioni cerebrali che sono responsabili, in questi animali, del passaggio da uno stato di riposo ad uno di intensa locomozione ed esplorazione dell’ambiente che li circonda. Elettrocardiogramma ed elettroencefalogramma hanno confermato un aumento persistente della frequenza cardiaca, ma anche un incremento di intensità delle cosiddette onde gamma a livello cerebrale che, in molti mammiferi (incluso l’uomo), sono correlate con l’attività locomotrice. In particolare, Agrimi e colleghi hanno ipotizzato un sostanziale aumento delle onde gamma a partire da una particolare regione del cervello chiamata ippocampo. Quest’ultima, nei grandi così come nei piccoli mammiferi, è responsabile di molte attività tra cui il consolidamento della memoria, l’esplorazione e la navigazione nello spazio circostante.
La parte bioinformatica dello studio ha rivelato, inoltre, che proprio a livello dell’ippocampo dei topi TGAC8, c’era un consistente aumento dei recettori di un messaggero chimico molto importante per l’inizio e mantenimento dell’attività motoria, e cioè la dopamina. Ed infatti sia il recettore D5 (per la dopamina) sia recettori per altri segnali chimici fondamentali per l’insorgenza/stabilità dell’attività gamma, cioè i recettori GABA-A e mGLU1/5, erano aumentati nell’ippocampo dei topi TGAC8. Infine, grazie ad un sofisticato approccio statistico, la cosiddetta Granger Causality Analysis, i professori Gemignani e Menicucci (dell’Università di Pisa e co-autori dello studio) sono stati in grado di attestare un marcato incremento del flusso di informazioni tra il cuore e il cervello dei topi TGAC8 in termini di aumentata influenza reciproca tra i segnali EEG ed ECG.
“Il nostro studio – sottolinea Agrimi, – fornisce nuove informazioni e prospettive cruciali su come il cervello comunichi con il cuore e viceversa. Più specificamente, mostra che i cambiamenti umorali/elettrici generati perifericamente a livello miocardico siano sufficientemente incisivi da modificare i comandi in uscita dal cervello e diretti ai vari compartimenti/organi del nostro corpo. Dobbiamo quindi cominciare a considerare possibili nuovi scenari e nuovi attori, tra cui la dopamina prodotta dalle cellule del cuore, quando si debbono valutare le conseguenze funzionali – sia centrali, sia periferiche- di possibili alterazioni del dialogo costante (e bidirezionale) tra cervello e cuore“.
“Studiare più a fondo i fattori/segnali che si originano all’interno del cuore stesso – spiegano Gemignani, Paolocci e Lakatta (senior authors del lavoro) – potrebbe aiutarci a correggere (ovvero curare) meglio non solo patologie di origine cardiaca molto frequenti come le aritmie, ma anche ad aprire nuovi orizzonti per meglio comprendere come si sviluppino e quindi si possano curare malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, in cui alterazioni dell’attività motoria sono tra i caratteri patologici più distintivi. Inoltre, le evidenze emerse dal nostro studio sul rapporto bidirezionale tra cuore e cervello, rinforzano ed espandono le teorie che considerano il nostro organismo come un sistema orizzontale le cui parti sono in continua e feconda comunicazione, piuttosto che come una struttura meccanica organizzata in modo gerarchico“.