I Campi Flegrei sono un’area vulcanica attiva situata ad ovest di Napoli, che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e parte della città di Napoli. Ma, a differenza del Vesuvio, i Campi Flegrei non sono caratterizzati da un unico edificio vulcanico principale, ma sono piuttosto un campo vulcanico attivo da più di 80.000 anni, con diversi centri vulcanici situati all’interno e in prossimità di un’area depressa chiamata caldera. Ecco perché, nel caso di eruzione “non è possibile sapere dove avverrà l’apertura della bocca”. Lo spiega a GEA Roberto Isaia, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che parla, appunto, di “incertezza“. La caldera, dice, “non è come un vulcano, che ha un cono principale di apertura“, quindi un’eventuale apertura potrebbe avvenire in un’area compresa tra 3 e 5 chilometri circa.
La caldera è il risultato del ripetuto sprofondamento di una vasta area provocato dal collasso del tetto del serbatoio magmatico superficiale a seguito dello svuotamento dello stesso per opera di almeno due grandi eruzioni, una avvenuta 40mila anni fa e un’altra 15mila anni fa. La caldera dei Campi Flegrei è soggetta ad una lenta deformazione del suolo, nota con il nome di bradisismo.
Isaia: “situazione in evoluzione, massima attenzione”
La situazione dei Campi Flegrei “è in evoluzione” e fa parte di “una crisi bradisismica che dura da 15 anni. È iniziata nel 2005 con una piccola deformazione e precedentemente da alcune variazioni della composizione dei gas fumaroli nella zona centrale della solfatara. Queste deformazioni vanno avanti, con tassi più lenti rispetto alla precedente crisi del 1982-1984, ma non si sono mai fermate“, dice ancora a GEA Roberto Isaia. Il sistema di monitoraggio, spiega, “non registra segnali che possono essere associati in modo diretto alla presenza di masse e fluidi nei primi 2-3 chilometri, ma non si esclude che piccoli corpi magmatici si possano essere mossi e rilascino questa ulteriore quantità di gas“. Per l’esperto, quindi, la situazione “va controllata e monitorata ed è necessario incrociare tutti i dati disponibili, quelli sulla sorveglianza e gli studi” per avere un quadro in tempo reale di ciò che sta accadendo.
Gli episodi più recenti di instabilità che si sono manifestati con sollevamento e sismicità sono stati quelli del 1969-72 e del 1982-84, quando molti abitanti dell’area, soprattutto quelli del centro storico di Pozzuoli, furono costretti ad abbandonare le proprie case. Dal 2005 a oggi, è di nuovo in atto un lento sollevamento del suolo che a luglio 2023 ha raggiunto circa 111 centimetri nell’area del Rione Terra. L’area che si solleva è centrata sul Rione Terra (Pozzuoli) o poco più a sud, e presenta una deformazione radiale, in rapida attenuazione verso la periferia della caldera, con una forma “a campana”. I valori di deformazione locale sono misurati attraverso una fitta rete GNSS e tiltmetrica, integrata con osservazioni satellitari. In pratica, dice Isaia, la crisi “non si è mai fermata” e ogni nuova fase riparte da dove si è fermata quella precedente. Anche se per un lungo periodo non vengono registrati movimenti significativi, quindi, se la crisi ricomincia, lo fa su una zona già stressata. L’energia si accumula e viene rilasciata.