Dagli anni ’70, quando la missione Mariner 10 della NASA raggiunse Mercurio, gli scienziati sapevano che il pianeta si stava restringendo man mano che il suo nucleo si raffreddava. Anche se si stima che la contrazione termica sia iniziata circa 3 miliardi di anni fa, non è chiaro però se sia ancora in corso. Una nuova ricerca condotta dagli scienziati della Open University nel Regno Unito suggerisce che su Mercurio si sia verificata un’attività tettonica di contrazione piuttosto recente, addirittura 300 milioni di anni fa. Ciò indica che Mercurio potrebbe contrarsi ancora oggi.
Nel 1974, Mariner 10 ha fotografato pendii alti km sulla superficie di Mercurio chiamati scarpate lobate. Queste si sviluppano quando l’interno del pianeta si contrae mentre si raffredda. La crosta del pianeta sviluppa quindi “faglie di spinta” con la ridotta superficie che può coprire. È come una vecchia mela che si sta disidratando: la pelle sviluppa rughe mentre la polpa avvizzisce.
Mercurio, lo studio dei graben
Il team della Open University ha analizzato immagini più recenti, scattate dalla sonda MESSENGER della NASA che ha orbitato attorno a Mercurio dal 2011 al 2015, e ha scoperto dei graben, caratteristiche geologiche in cui il terreno crea avvallamenti poco profondi lungo una faglia. Si verificano tipicamente quando la crosta viene allungata, un indicatore del restringimento del pianeta. Poiché questi graben sono ancora visibili e non oscurati dai crateri da impatto o dai detriti espulsi da essi, il team ha ipotizzato che l’età dei graben fosse di circa 300 milioni di anni.
Anche se è difficile dire se Mercurio si stia ancora contraendo in questo momento, 300 milioni di anni fa è un periodo abbastanza recente in termini geologici, suggerendo la possibilità che il suo nucleo potrebbe non essersi raffreddato completamente e potrebbe ancora subire una contrazione.
I graben saranno osservati più da vicino in una prossima missione congiunta ESA-JAXA chiamata BepiColombo. La sonda è stata lanciata nel 2018 e dovrebbe entrare nell’orbita di Mercurio alla fine del 2025, dove raccoglierà nuovi dati.
I risultati del team sono stati pubblicati il 2 ottobre su Nature.