Mattoni di 3.000 anni fa, appartenenti ad antichi edifici di quella che un tempo era la Mesopotamia, raccontano la storia di una misteriosa anomalia nel campo magnetico terrestre, diventato insolitamente forte tra il 1050 e il 550 a.C. per ragioni sono ancora sconosciute. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze americana, Pnas, e guidato dall’Università statale americana di Wichita. La ricerca si è basata sui nomi dei re incisi sui mattoni, che hanno permesso di ricostruire la cronologia, e l’analisi dei mattoni di argilla, dove sono stati scoperti minuscoli granelli di ossido di ferro: la tecnica utilizzata permetterà sia di ricostruire in maniera più precisa la storia del campo magnetico del nostro pianeta, sia di datare con maggiore accuratezza reperti archeologici di incerta attribuzione.
Il campo magnetico della Terra si indebolisce e si rafforza ciclicamente, con variazioni che lasciano una firma su alcuni minerali quando sono caldi, come il ferro rimasto all’interno dei 32 mattoni cotti migliaia di anni fa e analizzati dai ricercatori guidati da Matthew Howland. Su ogni mattone veniva inciso il nome del monarca regnante: questi nomi, insieme alle analisi compiute sui granelli metallici, hanno permesso di disegnare una mappa storica dei cambiamenti che sono avvenuti nel campo magnetico terrestre. In questo modo, gli autori dello studio hanno potuto confermare l’esistenza della cosiddetta “anomalia geomagnetica levantina dell’età del ferro”: un’anomala intensità del campo magnetico in un periodo compreso tra 1050 e 550 a.C. nell’area intorno al moderno Iraq.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che in cinque dei mattoni analizzati, fabbricati durante il regno di Nabucodonosor II (dal 604 al 562 a.C.), il campo geomagnetico è cambiato drasticamente in un arco di tempo molto breve: ciò confermerebbe l’ipotesi che sono possibili picchi di intensità anche molto circoscritti nel tempo.