La 28ª edizione della Cop si è recentemente conclusa con un accordo considerato da qualcuno “un passo in avanti”, mentre per qualcun altro un semplice susseguirsi di piccoli contentini dati alla popolazione per illuderla che si stia progredendo e che le Cop siano utili. La Cop28, in sintesi, ha approvato il “Consenso degli Emirati Arabi Uniti” per allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici. Un Fondo per le perdite e i danni è stato, inoltre, creato, ma i finanziamenti sono giudicati insufficienti. Gli Emirati Arabi Uniti, ospiti della conferenza, sono stati criticati per repressione interna e processi ingiusti contro attivisti. La transizione dai combustibili fossili è menzionata, ma con limitazioni. Il testo finale non fornisce chiarezza sulla limitazione dell’aumento di temperatura a 1,5°C. In questo quadro critico emergono prospettive di numerosi esperti di tematiche ambientali.
Le quattro fasi delle Cop secondo il prof. Battaglia
“Il pattern delle Cop – tutte, senza eccezione – è stato uguale a sé stesso, con quattro momenti chiave. La fase della speranza collettiva: dura per alcune settimane prima dell’evento. La fase del panico collettivo, che dura per l’intero corso dell’evento. Segue, a sorpresa, la fase del tripudio collettivo, che comincia alla fine di febbrili negoziazioni (non si capisce cosa negozino) che si concludono ogni volta alle 4 della notte dell’ultimo giorno di ogni Cop, e dura poche ore: sono ore di trance durante le quali tutti brindano al successo della Cop appena conclusasi. Al risveglio da quello stato catatonico, cominciano gli alti lai per l’insuccesso della Cop appena conclusasi“: a fare il punto è il prof. Franco Battaglia, docente di chimica fisica all’Università di Modena, tra i massimi esperti in Italia di questioni climatiche e ambientali, che nelle pagine de La Verità fa un breve resoconto delle quattro fasi che, a parer suo, accompagnano lo svolgimento di ogni Cop, nessuna esclusa.
La speranza collettiva
La prima fase è quella della “speranza collettiva” e rappresenta il periodo in cui le diverse conferenze sul cambiamento climatico sono caratterizzate da un ottimismo diffuso e da aspettative positive riguardo ai risultati e alle decisioni che potrebbero emergere da tali incontri internazionali. In ognuna di queste conferenze, gli attori coinvolti, che siano leader mondiali, organizzazioni non governative, media o diplomatici, esprimono una speranza che si verifichino progressi nella lotta contro il cambiamento climatico.
Espressioni come “Si nutrono grandi speranze dalla Cop 16” (New York Times), “Speriamo tutti che gli incontri alla Cop 19 abbiano un esito significativo” (Unione degli scienziati impegnati) o “Si vedono segni di speranza, mentre le nazioni si avviano alla Cop 27 in Egitto” (The Sidney Morning Herald), riportate dal prof. Battaglia, riflettono un desiderio diffuso e condiviso di ottenere risultati positivi in termini di accordi e azioni concrete per affrontare la crisi climatica. Questa fase è spesso accompagnata da dichiarazioni di impegno e determinazione da parte delle parti coinvolte, che vedono queste conferenze come opportunità cruciali per affrontare i problemi ambientali globali.
Il panico collettivo
La face successiva alla speranza, è quella del “panico collettivo“: un forte senso di preoccupazione, urgenza e ansia riguardo alla necessità di affrontare il cambiamento climatico. Questo panico è evidenziato da dichiarazioni che ritraggono ogni Cop come l’ultima possibilità per il mondo di agire efficacemente contro il riscaldamento globale. I punti di vista espressi negli anni, in questa fase, come quello di Barack Obama: “il summit di Copenhagen è in bilico e noi non abbiamo più tempo” o quello dell’Osservatore Romano: “La Cop 21 di Parigi può essere l’ultima occasione per mantenere il riscaldamento globale entro i limiti per salvare l’umanità“, sottolineano il timore che il tempo sia scaduto, che non ci siano più margini per evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico e che le negoziazioni siano bloccate fino all’ultimo giorno, aumentando l’incertezza sul successo delle misure adottate. In questo contesto, la fase culmina con un senso di emergenza e con la speranza che, nonostante le difficoltà, si possano raggiungere accordi significativi prima che sia troppo tardi.
“Il panico è triplice: ogni singola Cop é presentata come l’ultima chance che il mondo ha, si va di matto perché non c’è più tempo per affrontare il problema, e fino all’ultimo giorno tutto appare bloccato e destinato all’insuccesso“, dice Battaglia.
Il tripudio collettivo
“Poi, come per incanto, nel cuor della notte – tipicamente verso le 4 quando l’ultimo giorno di Cop è appena trascorso e tutti e 100.000 i convenuti hanno già fatto i bagagli per rientrare a casa propria, i negoziatori firmano qualcosa che consente di passare alla fase successiva“, con queste parole il prof. Franco Battaglia ci conduce alla terza fase: il “tripudio collettivo“.
Un momento di gioia e soddisfazione comune durante le Cop. Questa fase è contrassegnata da dichiarazioni entusiastiche che seguono il raggiungimento di risultati considerati positivi o storici nelle negoziazioni ambientali: “Un compromesso all’ultimo momento ha decretato il successo, uno storico successo, della Cop 13” (The Guardian), “In una storica svolta, alla Cop 22, 48 nazioni vulnerabili si impegnano a usare energia rinnovabile al 100% entro la metà del secolo” (Comunicato Onu), “Gli accordi della Cop 21 di Parigi impegnano tutti legalmente a ridurre le emissioni: svolta storica” (dichiarazione del ministro all’Ambiente finlandese).
“Ma l’eccitazione dura poche ore, la durata dei voli che conduce i centomila a casa, da dove ricominciano tutti a piangere“, sostiene l’esperto.
Il pianto collettivo
L’ultima fase, quella del “pianto collettivo” rappresenta un periodo di delusione e frustrazione condivise, spesso seguito da dichiarazioni critiche e pessimistiche, che emergono dopo le Conferenze delle Parti sul cambiamento climatico. Le citazioni, fornite dal professore, indicano l’espressione di una sensazione di fallimento e insoddisfazione rispetto agli esiti delle negoziazioni ambientali, come quella di Greta Thunberg, alla fine della Cop 26: “Blah-blah-blah…” o quella di Papa Francesco: “La Cop20 in Perù mi ha molto deluso“. “Anche la Cop 28 – spiega Battaglia – ha seguito lo stesso pattern: alle 5 del mattino tutti brindano per lo storico accordo ove ‘per la prima volta’ (sic!) vengono scritte le parole ‘combustibili fossili.’”
“Verrebbe da chiedersi cosa mai avranno scritto nei precedenti 27 accordi visto che fin dalla numero 1 queste Cop sono nate con lo scopo di ridurre l’uso dei combustibili fossili. Comunque sia, smaltita la sbornia dello champagne, alle 5 del pomeriggio han ripreso tutti a piangere. Al Gore ha definito la Cop 28 ‘il più grande fallimento della storia’, con buona pace delle ultime due guerre mondiali, della guerra Russia-Ucraina e di quella tra Israele e terroristi palestinesi. Cosa possiamo imparare da quanto sopra? Solo sperare che non ci saranno altre Cop“, conclude.