Dubbi, perplessità e tanta delusione accompagnano la fine di questa 28ª edizione della COP, sottolineando una sfiducia palpabile per aspettative mai rispettate e promesse solennemente dette ma inesorabilmente infrante. Gli impegni previsti per contrastare i cambiamenti climatici, purtroppo, si scontrano con la dura realtà di un volontà insufficiente nel passare dalla retorica all’azione. L’urgenza di abbandonare i combustibili fossili e di adottare misure decisive diventa più evidente che mai quando le parole pronunciate negli incontri internazionali si rivelano vuote di impatto reale e la necessità di un impegno autentico e incisivo diventa una richiesta irrinunciabile per affrontare la crescente crisi climatica.
Prima ancora di iniziare: Contraddizioni Irrisolte della COP28
Recentemente, un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha evidenziato che, nonostante un aumento dell’ambizione delle politiche climatiche dall’Accordo di Parigi del 2015, i risultati ottenuti non sono ancora sufficienti. Se tutti gli Stati rispettassero le promesse fatte, l’aumento della temperatura media globale entro la fine del secolo raggiungerebbe comunque tra i 2,5°C e i 2,9°C rispetto ai livelli preindustriali. Questo supererebbe notevolmente gli obiettivi di Parigi (1,5°C e 2°C) con conseguenze drammatiche. Queste conseguenze sono già evidenti in Europa, con 70.000 morti causati dal record di calore nel 2022 e il 2023 che si prefigura come l’anno più caldo della storia globale.
I paradossi emergono chiaramente nella situazione attuale della COP28. La conferenza è ospitata dagli Emirati Arabi Uniti, una petromonarchia, e presieduta dal sultano Al Jaber, Amministratore Delegato della compagnia di stato Abu Dhabi National Oil Company, che sta pianificando investimenti massicci in energia fossile. Questi paradossi non sono nuovi, poiché l’accordo di Parigi non menziona i combustibili fossili, e le conferenze climatiche sono spesso influenzate da lobby legate al fossile e ad altre industrie altamente inquinanti.
Ulteriori complicazioni emergono dalla situazione politica degli Emirati Arabi Uniti, una monarchia assoluta con limitate libertà civili, secondo i rapporti di Amnesty International e Freedom House. Le crescenti tensioni internazionali, causate dai conflitti in Ucraina e a Gaza e dalla competizione Cina-Stati Uniti, complicano ulteriormente la cooperazione climatica.
Il rischio di accentuare le divisioni tra il Nord Globale e i Paesi emergenti è concreto, con il primo che chiede maggiori sforzi nella riduzione delle emissioni e i secondi che rivendicano le responsabilità storiche del Nord e chiedono trasferimenti finanziari significativi.
Un elemento cruciale è il ruolo dell’Unione Europea, ma la recente nomina di Wopke Hoekstra, con un passato nel settore petrolifero, come Commissario per l’azione per il clima solleva interrogativi sulla credibilità dell’UE. Nonostante le aspettative focalizzate sul fondo multilaterale di compensazione di danni e perdite e sugli investimenti in energie rinnovabili, il tema dell’abbandono dei combustibili fossili sembra escluso, evidenziando ulteriori paradossi.
Oltre la conferenza climatica, il ruolo della società civile diventa centrale. Mentre alcune organizzazioni parteciperanno per esercitare pressioni, molti movimenti hanno scelto il boicottaggio, criticando il fallimento delle COP e la mancanza di spazi di dissenso negli Emirati Arabi Uniti. Il contestuale Earth Social Conference in Colombia diventa un’alternativa di protesta.
Ombre a Dubai: le promesse infrante nel cammino verso la sostenibilità
Il climax di delusione e frustrazione emerge già ieri, tre giorni dopo la terza bozza della COP28, quando il testo provvisorio dell’accordo finale ha gettato un’ombra imponente sulle aspettative, rivelando promesse cruciali irrisolte e una mancanza di progresso tangibile. L’obiettivo dichiarato di semplificare il testo, tuttavia, ha portato all’eliminazione di proposte audaci e ambiziose, anziché al chiarimento delle strategie di lotta ai cambiamenti climatici, suscitando un senso di sconforto diffuso tra i partecipanti.
Sparito il Phase-Out
Il cuore della delusione è concentrato sulla sparizione del “phase-out“, l’abbandono dichiarato dei combustibili fossili, considerato una pietra miliare nella lotta contro il cambiamento climatico. Invece di un impegno deciso, il testo propone un articolato invito a ridurre gradualmente le emissioni fino al raggiungimento delle emissioni nette zero, una formulazione che ha deluso coloro che auspicavano azioni più immediate e decisive. Questo rappresenta un notevole passo indietro rispetto alle aspettative iniziali, soprattutto considerando la pressante necessità di affrontare la crisi climatica in modo tempestivo.
Sulla questione del carbone, la bozza si attiene alla formula del “phase-down“, una riduzione limitata solo per il carbone unabated, cioè non accompagnato da sistemi di cattura e stoccaggio della CO₂. Questo approccio è stato visto come una vittoria per i grandi consumatori di carbone come Cina e India, ma allo stesso tempo rappresenta uno stallo significativo nella transizione verso fonti energetiche più sostenibili.
Se questa bozza dovesse diventare definitiva, il risultato rappresenterebbe una vittoria per la linea dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), che aveva recentemente invitato i paesi produttori di petrolio a non cedere sul “phase-out“. In questo contesto, Arabia Saudita, Russia e Iran avrebbero la meglio, mentre Unione Europea, Alleanza delle nazioni latine indipendenti e Alleanza delle piccole isole del Pacifico subirebbero una sconfitta, suscitando tensioni geopolitiche e scontento tra le varie fazioni.
L’adattamento
Un secondo fronte di delusione riguarda l’adattamento, con l’assenza di impegni concreti sul finanziamento delle infrastrutture verdi per i paesi in via di sviluppo. Questo ha portato a una vittoria dei paesi industrializzati, specialmente degli Stati Uniti, accusati di boicottare il dibattito, mentre a perdere è stata la vasta alleanza del G77, comprendente più di 100 paesi in via di sviluppo. La mancanza di uno scambio significativo tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, fondamentale per ottenere un compromesso ambizioso, è stata una delle principali cause della mancata avanzata nella lotta contro la crisi climatica.
La bozza finale delude i Paesi in Via di Sviluppo
“Deludente, chiaramente insufficiente e non adeguata ad affrontare il problema“, così viene definita la bozza finale della Cop28 dal capo negoziatore dell’Unione Europea, Wopke Hoekstra.
L’assenza di un impegno chiaro e inequivocabile riguardo all’uscita o al significativo taglio delle emissioni di combustibili fossili entro il 2030 è stata interpretata come un punto di penalizzazione per i Paesi in via di sviluppo, che hanno sottolineato la loro vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici e la necessità di sostegno finanziario e tecnologico per affrontare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Le richieste di impegni concreti sul finanziamento delle infrastrutture verdi da parte dei Paesi industrializzati non sono state soddisfatte, lasciando i Paesi in via di sviluppo delusi e senza le necessarie risorse per affrontare la crisi climatica.
Il ruolo controverso di Sultan Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera di stato degli Emirati Arabi Uniti, ha contribuito ad aumentare le tensioni, poiché il suo coinvolgimento in aziende legate sia ai combustibili fossili che alle energie rinnovabili solleva dubbi sulla sua neutralità nella guida della conferenza.
Le preoccupazioni del WWF sulla alla fine della Cop28
“Sulla riduzione dei combustibili fossili si rimanda al 2050 e sul carbone il testo si ferma a Glasgow, nessun progresso nemmeno sui sussidi ai combustibili fossili che l’anno scorso ammontavano a 7 trilioni di dollari“, dichiara da Dubai, dove segue i negoziati, Mariagrazia Midulla, Responsabile Clima ed Energia WWF Italia.
Le prospettive energetiche delineate nella bozza finale della COP28 presentano un allarmante allargamento alle cosiddette “false soluzioni” come il nucleare e la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Questo rappresenta un modo ulteriore per disperdere prezioso tempo, introducendo opzioni che sollevano dubbi sulla loro effettiva efficacia e impatto positivo sul fronte climatico. Dall’Accordo di Parigi in poi, la situazione climatica globale ha assunto contorni sempre più preoccupanti, caratterizzati da fenomeni climatici estremi diffusi. Nel corso dell’ultimo anno, le temperature hanno registrato aumenti significativi, evidenziando la necessità di azioni decisive.
In questo contesto critico, ci si potrebbe legittimamente chiedere se la classe dirigente mondiale sia in grado di rispondere adeguatamente alle sfide imposte dalla crisi climatica. La questione fondamentale è se il testo finale dell’accordo sarà in grado di affrontare la crisi in modo chiaro e rapido, con un impegno inequivocabile per l’eliminazione graduale e accelerata dei combustibili fossili. Questo dovrebbe includere anni target specifici e, soprattutto, evitare l’adozione di soluzioni che vengono definite come “false”, affinché la risposta globale alla crisi climatica sia efficace e priva di compromessi che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione. La necessità di agire ora è urgente per evitare le conseguenze più gravi di un cambiamento climatico inarrestabile.
La sintesi?
Gli interessi economici e politici gettano spesso un’ombra sulle discussioni, agendo come freno al progresso. Anche quando gli accordi sono siglati, l’osservanza diventa un’ardua sfida in un sottile gioco di equilibrio tra obbligatorietà e partecipazione. Ma come si garantisce il rispetto delle regole se non esistono sanzioni? Le sanzioni per chi trasgredisce gli impegni dell’Accordo di Parigi sono praticamente inesistenti.