L’importanza per il paziente di essere seguito da una squadra multidisciplinare di professionisti, l’accesso a strutture di eccellenza in grado di offrire tutte le risposte, la possibilità di usufruire delle innovazioni diagnostiche e terapeutiche e degli avanzamenti della ricerca. Sono tutti aspetti fondamentali nella cura di una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo: l’epatocarcinoma (Hcc). In Italia, nel 2023, sono state stimate oltre 12.000 nuove diagnosi mentre in Liguria sono previsti 300 nuovi casi di epatocarcinoma ogni anno. Il “Ruolo e valore del team multidisciplinare per la cura del tumore epatico, l’esperienza del San Martino” è stato il tema al centro di una tavola rotonda ospitata a Genova nel centro congressi del policlinico. L’iniziativa è stata promossa da Roche con il patrocinio dell’associazione EpaC, punto di riferimento per chi soffre patologie epatiche, ed è una delle tappe del roadshow “Uniti e vicini ai pazienti con epatocarcinoma”.
Un anno fa, la Regione Liguria istitutiva i Disease management team (Dmt) per il paziente oncologico. “I pazienti presi in carico nel primo anno sono stati 152 – spiega Annamaria Pessino, coordinatrice del Dmt neoplasie gastroenteriche dell’ospedale policlinico San Martino – dalla creazione di questo team abbiamo osservato come la gestione multidisciplinare sia imprescindibile: il coinvolgimento di diverse competenze mediche permette di definire la strategia più appropriata per un paziente complesso come il malato di Hcc, che spesso presenta situazioni di comorbidità”. Oltre a epatologi, chirurgi, oncologi e radiologi, il team del San Martino ha a disposizione anche la figura del “navigator nurse”, ovvero “un’infermiera specializzata che lavora in collaborazione con il team fornendo supporto emotivo a pazienti e familiari”, aggiunge Pessino.
Il tumore si sviluppa prevalentemente in persone che soffrono di cirrosi a causa di epatite cronica e abuso di alcol o sindromi dismetaboliche e si manifesta tipicamente in stati avanzati e difficili da trattare. Il dato di sopravvivenza dell’epatocarcinoma a cinque anni dalla diagnosi è del 22%. Un altro aspetto affrontato nel corso della tappa genovese del roadshow è stato l’effetto della malattia sulla qualità di vita di pazienti e famiglie. “È fondamentale che queste persone possano reperire facilmente le informazioni – sottolinea Massimiliano Conforti, vicepresidente di EpaC – il nostro sforzo come associazione è indirizzato però anche a diffondere conoscenza sui fattori di rischio e sulla diagnosi precoce per evitare che i pazienti scoprano della malattia quando è ormai di difficile trattamento”.
Il team del San Martino definisce un trattamento personalizzato sul paziente in base alle patologie esistenti e pregresse, alle riserve funzionali epatiche e alla rapidità della diagnosi con il supporto di linee guida all’interno della struttura ospedaliera. Una delle unità del San Martino più coinvolte in questo gioco di squadra è quella di Chirurgia epatobiliare e trapianti d’organo, diretta da Enzo Andorno: “è importante che il chirurgo trapiantologo possa agire in sincronia con gli specialisti, dopo una resezione ad esempio potrebbe esserci il rischio di un’insufficienza epatica e dobbiamo essere in grado di contrastarla- afferma- inoltre, per un trapianto d’organo è necessario tenere conto di alcuni parametri per selezionare i pazienti, in modo che abbiano più possibilità di vivere a lungo dopo l’intervento“.
Nel corso della tavola rotonda si è parlato anche delle prospettive di cura e di immunoterapia. In tal senso, sono cruciali i progressi nell’ambito della radioterapia. “Può essere utilizzata in tutti gli stadi dell’epatocarcinoma – spiega Almalina Bagicalupo, dirigente medico dell’unità operativa di radioterapia oncologica del San Martino – in particolare, oggi è possibile usare la radioterapia stereotassica, tecnica avanzata che prevede dosi molto elevate in modalità circoscritta e consente di migliorare il controllo tumorale”.