Rivelazioni in cima al mondo: scoperti fossili marini sul Monte Everest

Una testimonianza delle dinamiche continue della crosta terrestre e della sua evoluzione geologica
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Il Monte Everest, il punto più alto del nostro pianeta, è stato protagonista di una scoperta scientifica straordinaria che ha stuzzicato la curiosità e suscitato interrogativi tra gli studiosi della terra e gli appassionati di geologia. La recente identificazione di fossili marini, risalenti al lontano Periodo Ordoviciano, ha gettato luce su un enigma che ha sfidato il nostro entanglement scientifico, conducendo riflessioni approfondite sulla storia remota e gli eventi che hanno plasmato il mondo.

Includendo trilobiti, brachiopodi, ostracodi e crinoidi, questi fossili sono intrappolati in una singolare roccia sedimentaria, conosciuta come “Calcare di Qomolangma“, che si estende lungo l’intera catena dell’Himalaya. Lontano dall’essere la prova di un antico diluvio, come alcuni hanno ipotizzato, questa scoperta offre piuttosto una testimonianza inequivocabile della complessità della tettonica a placche e delle sue influenze sulla formazione geologica.

Le rocce sedimentarie, contenenti le tracce indelebili di creature marine antiche, si formano attraverso il lungo processo erosivo causato dall’azione dell’acqua, che frammenta le rocce nel corso di migliaia o milioni di anni. Il “Calcare di Qomolangma” rappresenta, quindi, un archivio silenzioso di questa evoluzione geologica millenaria, narrando il racconto di un’epoca in cui la cima dell’Everest era sommersa dai flutti.

La presenza di creature marine preistoriche a un’altitudine superiore a 8.000 metri sopra il livello del mare offre una testimonianza eloquente del potere plasmante della tettonica a placche. L’ascesa dell’Everest e dell’intera catena dell’Himalaya trova la sua genesi in una collisione epocale tra le placche continentali eurasiatica e indiana, un balletto geologico che ha preso avvio circa 40-50 milioni di anni fa. La spiegazione dettagliata di questo fenomeno è fornita dalla Geological Society, che sottolinea come la placca eurasiatica, piegata e sollevata sopra la placca indiana, abbia provocato l’ispessimento della crosta continentale attraverso piegature e fagliazioni dovute a forze compressive.

La presenza di fossili marini sulla vetta dell’Everest, quindi, non è un enigma biblico da risolvere, ma piuttosto una testimonianza concreta delle dinamiche continue della crosta terrestre e della sua affascinante evoluzione geologica. Le profondità nascoste di queste rocce sedimentarie ci raccontano una storia che ci connette a ere lontane, quando l’Everest, in tutta la sua magnificenza, giaceva inosservato sotto le onde.

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