Albert Stevens, noto anche come “Paziente CAL-1“, è entrato a pieno titolo nella storia come uno dei sopravvissuti a una delle dosi di radiazioni più elevate mai accumulate e registrate. La sua incredibile storia, forgiata nell’ombra del Progetto Manhattan durante la Seconda Guerra Mondiale, solleva il sipario su una serie di esperimenti segreti noti come gli “Esperimenti di Iniezione di Plutonio Umano”
Il Progetto Manhattan
Quando il Progetto Manhattan intraprese la ricerca e lo sviluppo delle armi nucleari durante la Seconda Guerra Mondiale, i ricercatori si resero conto della necessità di comprendere gli effetti dei materiali radioattivi sul corpo umano. Nacquero così gli “Esperimenti di Iniezione di Plutonio Umano“, in cui Albert Stevens fu coinvolto senza il suo consenso.
Gli Esperimenti di Iniezione di Plutonio Umano avevano l’obiettivo di comprendere gli effetti dei materiali radioattivi sul corpo umano. Albert Stevens fu il primo “partecipante” californiano a essere iniettato con plutonio, assegnato al codice “Paziente CAL-1“. Non ci sono prove che Stevens fosse a conoscenza di ciò che gli veniva iniettato, né che avesse dato il suo consenso a essere esposto al plutonio.
Un’iniezione mortale
Nel 1945, Stevens ricevette un’iniezione di plutonio-238 in California, una dose considerata “molte volte superiore alla cosiddetta dose letale“. Il plutonio-238, notevolmente più radioattivo del plutonio-239, fu incluso nel cocktail iniettato a Stevens. Secondo Eileen Welsome, autrice di “The Plutonium Files“, Stevens ricevette una dose equivalente a 6.400 rem durante la sua vita, ovvero 858 volte la media ricevuta da una persona nello stesso periodo. Eileen Welsome spiega che il plutonio-238 fu probabilmente scelto per la sua facilità di misurazione con l’attrezzatura disponibile al tempo del Progetto Manhattan, ma aveva un potenziale molto maggiore per causare danni biologici.
La sorprendente resilienza di Stevens
La particolarità del caso di Stevens è che, durante un’operazione successiva all’iniezione, si scoprì che non era affatto malato terminale. Quello che si pensava fosse un’ulcera gastrica cancerosa si rivelò essere un’ulcera gastrica benigna con infiammazione cronica. Nonostante l’alta dose di radiazioni, l’iniezione di plutonio non ebbe effetti immediati e acuti su Stevens, che morì di insufficienza cardiorespiratoria 21 anni dopo l’esposizione, nel 1966.
Un nome e una ricerca dimenticati
Albert Stevens non fu mai informato del plutonio o del suo coinvolgimento in un esperimento. Il dottor Scott, che preparò l’iniezione, rivelò che non disse mai a Stevens nulla riguardo al plutonio o alla sua partecipazione a un esperimento. La sorella di Stevens, infermiera, trovò strano che fornisse campioni fecali anche anni dopo l’esperimento.
La ricerca di Stevens si scontrò con ostacoli, compreso il fatto che il suo vero nome era Albert Stevens, non Stephens. Dopo la sua morte, le ceneri furono richieste per la ricerca medica, rivelando la diffusione di plutonio nello scheletro. Le famiglie dei sopravvissuti ottennero compensi finanziari, ma la legittimità di alcuni partecipanti fu messa in dubbio.
L’eredità di Albert Stevens
L’eroico silenzio di Albert Stevens, il Paziente CAL-1, è una testimonianza straziante della crudeltà degli esperimenti umani segreti condotti nel nome della scienza e della sicurezza nazionale. La sua storia rivela l’importanza di una rigorosa etica scientifica e solleva domande cruciali sul consenso informato e sulla responsabilità etica delle istituzioni scientifiche. La vicenda di Stevens dovrebbe essere una lezione indelebile che ci ricorda di proteggere la dignità e la sicurezza dei partecipanti umani nelle ricerche scientifiche.