Il 6 febbraio 1971, poco dopo le 19, un terremoto scosse Tuscania, nella provincia di Viterbo, una località rinomata per il suo ricco patrimonio archeologico risalente al medioevo. Questo evento sismico causò danni significativi, colpendo pesantemente l’antico centro storico caratterizzato da costruzioni con muri a sacco particolarmente vulnerabili.
Il terremoto di Tuscania, sebbene uno dei meno ricordati nella storia recente d’Italia, lasciò un segno indelebile: oltre alle vittime e ai feriti, provocò gravi danni al patrimonio storico locale, con particolare impatto sulle chiese romaniche di San Pietro e Santa Maria Maggiore.
Nel 1971, Tuscania contava circa 7.500 abitanti e la sua economia si basava principalmente sull’attività agricola e turistica. In assenza di un sistema di protezione civile ben sviluppato, l’opera dei volontari che si precipitarono a Tuscania per assistere la popolazione e preservare il patrimonio archeologico fu straordinaria. Agirono come veri “angeli del fango”, ripetendo il gesto eroico già osservato a Firenze 5 anni prima e nel Belice nel 1968.
Di recente, si spiega in un approfondimento pubblicato sul blog INGVterremoti,
“Cucci et al. (2020) hanno riesaminato i dati macrosismici e strumentali del terremoto, producendo una revisione della localizzazione dell’epicentro, della magnitudo e dell’intensità massima.
Nonostante la magnitudo relativamente moderata (Md 4.9, Ml 5.1 secondo Cucci et al.), il terremoto provocò danni ingenti al centro storico e 33 vittime. Si è stimato un danneggiamento massimo dell’VIII grado della scala EMS. I centri prossimi a Tuscania rimasero praticamente illesi, a parte qualche danno lieve ad Arlena di Castro, pochi chilometri a nord di Tuscania. I motivi più probabili di un danneggiamento così intenso per una magnitudo contenuta sono stati la bassa profondità ipocentrale e l’estrema vulnerabilità del centro storico.
Importante quindi l’impegno costante nella prevenzione: conoscere il rischio e ridurlo, riducendo la vulnerabilità degli edifici“.