Una parte significativa dei casi di infezione da SARS-CoV-2 nella popolazione generale si manifesta con una forma persistente della malattia che perdura per un mese o più. In più della metà di tali casi, questi pazienti finiscono per sviluppare il cosiddetto Long Covid. È quanto emerge dai risultati di uno studio condotto dall’Università di Oxford, pubblicati sulla rivista Nature. Questa ricerca ha sfatato l’ipotesi secondo cui il Covid-19 prolungato, particolarmente evidente in individui immunocompromessi, possa essere la causa delle numerose nuove varianti del virus emerse durante la pandemia, che hanno alimentato ulteriori ondate di infezione, tra cui le varianti Alpha e Omicron.
Lo studio ha esaminato l’incidenza di infezioni persistenti nella popolazione generale, utilizzando i dati del Covid Infection Survey dell’Ufficio di Statistica Nazionale (ONS-CIS), che ha coinvolto oltre 90.000 partecipanti. Tra questi, 3.603 hanno fornito due o più campioni positivi tra novembre 2020 e agosto 2022, i quali sono stati sequenziati per identificare il virus. Tra coloro che hanno contratto l’infezione, 381 individui hanno sperimentato una persistenza della malattia per almeno un mese, mentre 54 di essi hanno continuato a soffrire per almeno due mesi.
Gli studiosi stimano che tra lo 0,1% e lo 0,5% di tutte le infezioni possano diventare persistenti, durando almeno 60 giorni, mentre il 3,5% delle infezioni persiste per almeno un mese dal contagio. Dei 381 casi di infezione persistente, 65 individui hanno subito tre o più test con PCR durante il corso della loro malattia. La maggioranza di questi individui (82%) ha mostrato una variazione nella carica virale nel tempo, con fasi di alta replicazione seguite da fasi di bassa replicazione e viceversa.
Secondo i ricercatori, ciò suggerisce che il virus conserva la sua capacità di replicarsi attivamente anche durante le infezioni prolungate. Infine, è emerso che le persone con infezioni persistenti avevano il 55% in più di probabilità di sviluppare il Long Covid oltre le 12 settimane dall’inizio dell’infezione, rispetto a coloro che hanno sperimentato infezioni più brevi e tipiche.
In conclusione, questi risultati indicano che le infezioni persistenti potrebbero contribuire alla fisiopatologia del Long Covid, evidenziando la complessità e l’importanza di comprendere e gestire questa forma prolungata della malattia.