Le microplastiche sono frammenti invisibili all’occhio umano (hanno dimensioni comprese tra 5 mm e 0,1 µm), ma tra le minacce più gravi e dannose per l’ambiente e per l’ecosistema. Sono le microplastiche, una grande problematica ancora ampiamente sottovalutata, che invece dovrebbe essere affrontata con maggiore consapevolezza per concretizzare il passaggio verso un’economia sostenibile. Senza dimenticare le nanoplastiche, di dimensioni nell’ordine di nanometri e per questo ancora più insidiose.
Non tutte le microplastiche sono uguali. Ci sono quelle primarie, realizzate di proposito in dimensioni ridotte per essere usate – ad esempio – nei cosmetici (trucchi, detergenti, dentifrici), nelle vernici, nelle paste abrasive e nei fertilizzanti, per le loro proprietà esfolianti e leviganti. Mentre quelle secondarie (la stragrande maggioranza rilevata negli oceani) sono originate dall’usura, dal deterioramento e dalla frammentazione di materiali in plastica di dimensioni maggiori, come bottiglie, buste di plastica, tessuti sintetici o copertoni delle ruote.
Il tema riguarda non solo l’industria, ma tutti noi: basti pensare che una famiglia media di quattro persone che beve quotidianamente acqua in bottiglia produce in un anno ben 72 kg di plastica con un impatto non trascurabile sull’ambiente. Una quantità che, per essere prodotta, richiede l’utilizzo di 137 kg di petrolio e comporta l’emissione di 242,1 kg di CO₂. I dati arrivano dall’Impact Simulator di Culligan – esperto mondiale nel settore del trattamento dell’acqua -, un efficiente tool a disposizione dei cittadini che permette di misurare la responsabilità ecologica sulla base del consumo annuo di acqua in bottiglia.
Le bottiglie in Pet, avendo una vita media stimata intorno ai mille anni, non sono biodegradabili. In più, la stessa produzione di questo materiale, che richiede l’utilizzo di grandi quantità d’acqua e petrolio, non è sostenibile.
La plastica, infatti, specialmente quando non smaltita correttamente, viene sottoposta a processi di degradazione molto lenti che portano alla frammentazione in pezzi inferiori ai 5 mm, mettendo in pericolo gli ecosistemi, con danni a cascata per la fauna marina. A partire dai mari, dove le microplastiche diventano cibo per i pesci che noi mangiamo – entrando così nella catena alimentare – sino alle falde acquifere, dove si sedimentano rischiando di arrivare all’acqua potabile. Ma non solo: le microplastiche che si trovano nell’atmosfera possiamo respirarle.
Da qui la progressiva stretta del legislatore sull’uso di questi materiali inquinanti, nell’ambito del processo di transizione ambientale che punta a fare del Vecchio Continente la prima area al mondo a impatto zero sull’ambiente.
Cosa dice la legge
A normare questa crescente problematica, entra in vigore la Direttiva (UE) 2020/2184 sulla qualità delle acque potabili in Italia che affronta anche la questione delle microplastiche, riconoscendole come una delle più dannose minacce ambientali. La Direttiva, in particolare, sottolinea l’importanza del monitoraggio e della prevenzione delle microplastiche nell’acqua potabile. Al momento però, non esiste un protocollo ufficiale universalmente accettato per identificarle e quantificarle. A tale scopo, la Commissione Europea si propone di sviluppare entro il 2024 una metodologia per il loro monitoraggio nelle acque destinate al consumo umano. Questo consentirà di includere le microplastiche nella “Watch List”, un registro di controllo che identifica sostanze emergenti con potenziale rischio per i consumatori quando presenti nelle acque potabili[1].
In questa fase di transizione è importante, accanto all’impegno nella riduzione dell’utilizzo di plastica, tutelarsi scegliendo fonti d’acqua più sicure. Ma soprattutto è fondamentale informarsi correttamente per evitare di ‘abboccare’ alle fake news, affidandosi ad analisi accreditate a livello scientifico e a impianti di filtrazione che bloccano microplastiche e microrganismi.
“Educare e informare il pubblico è cruciale per promuovere comportamenti sostenibili e un consumo consapevole delle risorse idriche, sempre con un occhio di riguardo alla salute” dichiara Antonio Ambrosi, Director, Global Product Management – Filtration di Culligan.
“Come Gruppo, ci impegniamo in questa direzione per fornire chiarezza e soluzioni, ponendoci come pionieri nell’offrire esperienze idriche in cui la qualità, la sicurezza e la sostenibilità sono al centro delle nostre innovazioni. Siamo il motore del cambiamento verso una sostenibilità idrica senza compromessi”.
Alcuni luoghi comuni
Spesso si dice che l’acqua in bottiglia è di migliore qualità, ma è vero?
In realtà l’acqua del rubinetto è sottoposta a maggiori controlli e a norme che stabiliscono limitazioni più rigide. Le normative che regolano le acque minerali in bottiglia sono stabilite dal DM 10 febbraio 2015 e sono diverse da quelle delle acque potabili (D.Lgs 18/2023): molti dei parametri normati per le acque di rete non presentano, nel caso delle acque in bottiglia, un limite stabilito per legge. Ad esempio, arsenico, manganese o solfati possono essere presenti nelle acque minerali in commercio in quantità superiori rispetto ai parametri ammessi per l’acqua del rubinetto.
Più frequentemente si sente criticare la qualità dell’acqua di rubinetto. Ci sono reali motivazioni?
In realtà uno studio dell’Irsa, l’Istituto del Consiglio Nazionale di Ricerca deputato al controllo della qualità dell’acqua, indica che siamo al quinto posto in Europa per qualità dell’acqua di acquedotto, merito soprattutto dell’origine sotterranea che caratterizza l’85% delle nostre fonti. Vero è che il controllo e la sicurezza dell’acqua di acquedotto sono garantite fino al contatore di casa, oltre il quale la competenza è dell’utente finale: la manutenzione periodica delle tubature, l’igienizzazione e l’apposizione di semplici filtri al punto d’uso (per eliminare cloro, torbidità ed eventuali Sali in eccesso) sono buone prassi da adottare per ottenere a casa propria un’acqua gradevole e più sicura.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda, inoltre, come gli attuali procedimenti di purificazione delle acque potabili permettono di allontanare l’eventuale presenza di microplastiche.
Cosa si può fare
È importante – in ambito domestico, così come nella ristorazione – utilizzare sistemi di filtrazione di qualità, che consentano di migliorare ulteriormente l’acqua dell’acquedotto, con benefici anche per il portafoglio. Come quelli messi a punto da Culligan, realtà specializzata nel trattamento delle acque a 360°, che introduce Aqua-Cleer Slim +, un depuratore d’acqua a osmosi inversa (processo utilizzato per rimuovere impurità dall’acqua dell’ultimo miglio, inclusi batteri, microplastiche e PFAS), studiato appositamente per essere collocato in tutte le cucine, che consente di avere, direttamente dal rubinetto di casa, acqua leggera e priva di elementi indesiderati. Caratteristiche e proprietà similari sono garantite anche dagli erogatori della linea Aquabar, ideali per tutte le attività del settore Ho.Re.Ca., che oltre alla sicurezza e alla salubrità dell’acqua, permettono di avere a disposizione anche acqua a temperatura regolabile e frizzante.
[1] Qualità delle acque destinate al consumo umano – Atto del Governo 15