Rigopiano, sentenza d’appello: 22 assoluzioni e 8 condanne, tra cui l’ex prefetto di Pescara

Dalla Corte d'Appello dell'Aquila, pene anche per l’ex capo di gabinetto della Prefettura e del tecnico comunale
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Nuova sentenza per la tragedia di Rigopiano, avvenuta il 18 gennaio del 2017 e costata la vita a 29 persone che morirono nell’hotel travolto da una valanga. Il verdetto della Corte d’Appello dell’Aquila è di 8 condanne e 22 assoluzioni. I giudici hanno confermato le condanne inflitte in primo grado per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, per il tecnico Giuseppe Gatto e per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso.

Inoltre, l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo è stato condannato a un anno e otto mesi per falso e omissioni di atti d’ufficio. Nel processo di primo grado Provolo era stato assolto. Oltre all’ex prefetto, sono stati condannati anche Leonardo Bianco, ex capo di gabinetto della Prefettura, ed Enrico Colangeli, tecnico comunale di Farindola.

Dopo cinque ore di camera di consiglio, i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila hanno dunque riformato in parte la sentenza emessa dal tribunale di Pescara a febbraio dell’anno scorso. Per l’ex capo di gabinetto della Prefettura Leonardo Bianco, la Corte ha disposto una condanna di un anno e 4 mesi mentre per il tecnico del comune di Farindola Enrico Colangeli la pena è di due anni e 8 mesi. Colangeli, per il quale la procura pescarese aveva chiesto 11 anni e 4 mesi, era implicato come colui che si occupava dei permessi edilizi di ampliamento del resort, in un luogo evidentemente non idoneo a realizzare un hotel visto che si trovava in un punto storicamente interessato da valanghe: la sentenza ha condannato lui e gli altri – meno i dirigenti della prefettura – anche a oltre 1,5 milioni di provvisionali per i familiari.

Sicuramente è positivo che l’impianto della sentenza di primo grado relativo alle condanne per non aver tenuto la strada aperta sono state confermate. Poi prendiamo atto che sono state rilevate delle altre responsabilità da parte della struttura tecnica. Prendiamo anche atto però che 22 assoluzioni sono state confermate perché l’impianto accusatorio non era perfetto“, ha detto l’avvocato Romolo Reboa, rappresentante delle famiglie delle vittime di Rigopiano.

La Corte d’Appello, dunque, ha individuato negli amministratori locali che hanno dato i permessi di costruzione dell’albergo e il sindaco che doveva impedire l’ascesa dei turisti – e anzi doveva sgomberare il resort – come i principali responsabili delle 29 morti, assieme ai dirigenti della provincia addetti alla viabilità e alla gestione dei mezzi di soccorso. Ha determinato insomma che la tragedia è principalmente un fatto legato alla gestione del territorio in quel drammatico frangente, escludendo quindi ogni responsabilità sulla mancata realizzazione da parte della Regione della Carta Valanghe o la scossa di terremoto che ci fu quella mattina. Ne sono così usciti l’ex Presidente della Provincia Antonio Di Marco, per non aver commesso nessuno degli addebiti, e tutti i dirigenti regionali.

La rabbia dei familiari delle vittime

Resta ancora la rabbia nei familiari delle vittime dopo la sentenza di oggi. “Tutte le allerte valanga sono state ignorate. Con questa sentenza muore la prevenzione in Italia. Che la facciamo a fare?“, ha detto Egidio Bonifazi, padre di Emanuele, 31enne addetto alla reception dell’hotel Rigopiano. “Ho provato molta confusione. Non hanno reso giustizia. Sono molto amareggiato perché non sono stati puniti i maggiori responsabili”. “Ci aspettavamo di più, sicuramente la condanna della Regione e della Provincia”, ha detto invece papà Feniello, al quale prima dissero che il figlio era tra i sopravvissuti e poi furono costretti ad ammettere l’errore.

“C’erano fatti che gridavano vendetta – ha aggiunto l’avvocato Giovanni Ranalli, che ha assistito i familiari di Alessandro Riccetti – come il non avere agito, nonostante le segnalazioni giunte tre giorni prima, ed anzi avere finto di avere fatto il proprio dovere, cercando poi di nascondere le proprie responsabilità“.

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