Rinato con un doppio trapianto: “avevo 36 ore di vita”

A Torino salvato con doppio trapianto un uomo di 56 anni con organi invasi da cisti: lavoro eccezionale tra l’ospedale Molinette e il Gemelli
MeteoWeb

Avevo un giorno e mezzo di vita davanti, quindi sono passato dalla certezza di morire a essere qui a parlare“. Sono le prime parole con cui un uomo di 56 anni di Torino racconta di essere sopravvissuto grazie a un trapianto sequenziale all’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, in collaborazione con il Gemelli di Roma. L’uomo, affetto dalla nascita da malattia policistica con interessamento epatico e ai reni, ha prima ricevuto il trapianto di microbiota fecale, poi quello di fegato. L’eccezionale lavoro delle Molinette e del Gemelli ha già ricevuto un riconoscimento dalla letteratura scientifica internazionale, essendo stato pubblicato sulla rivista Transplant Infectious Disease.

Dopo 120 giorni di percorso, Roberto (nome di fantasia) è ora in convalescenza a casa ed è in corso il suo recupero nutrizionale e motorio. “Ho sempre avuto problemi di policistica a reni e fegato e sono sempre stato sotto cura e sovrappeso, oltre i 100 chilogrammi – spiega – poi ho dovuto fare un intervento a un ginocchio e sembrava essere andato tutto bene, ma dopo tre settimane sono iniziati i problemi: ittero, infezioni intestinali. Sono rimasto a letto quattro mesi e sono finito in ospedale, ma non riuscivano a farmi migliorare, finché non mi hanno mandato in terapia intensiva alle Molinette”.

“Le 50 pastiglie di materiale fecale trattato da prendere per poter fare il trapianto di fegato, non sono state una passeggiata ma hanno fatto in modo che non mi pesasse e sono sopravvissuto“, sottolinea Roberto, riferendosi al trapianto di microbiota.

Il trapianto di microbiota – ha spiegato Renato Romagnoli, direttore del Centro Trapianto Fegato di Torino dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino – è stato possibile grazie al lavoro e ai risultati tecnici in questo campo del Policlinico Gemelli di Roma, perché per questo paziente sarebbe stata impossibile la somministrazione con colonscopia, troppo a rischio sepsi. L’unica via era quindi un donatore di microbiota, sano, in modo che tutto l’insieme di organismi di questa persona sana potesse sostituire quello del paziente. E il donatore è arrivato attraverso il Gemelli”.

Adesso sono anche dimagrito – racconta il paziente – sono sui 70 chilogrammi e praticamente i miei vestiti e le mie scarpe sembrano di un altro. Riesco già ad alzarmi da solo, nonostante il ginocchio, a cui dovrò rifare l’operazione, perché la protesi si è sganciata. Dal trapianto sono venuto a casa prima di Natale e ogni giorno sento la differenza in meglio”.

“Al di là dell’uso compassionevole in deroga fatto in questo caso, con tutto l’iter di autorizzazioni che è stato necessario richiedere – sottolinea Romagnoli – dovrebbe essere organizzato uno studio clinico per poterla far diventare una prassi ordinaria. Farne una prassi, dal momento che grazie al Gemelli la tecnologia per preparare il microbiota sano c’è – conclude può cambiare il futuro di tanti trapianti”.

Condividi