Al giorno d’oggi, sono molti i nuovi attori statali che hanno programmi spaziali autonomi e avanzati, dalla Cina al Giappone, dagli Emirati Arabi all’Unione Europea. Con la rinnovata corsa alla Luna, con l’obiettivo di costruire basi lunari per puntare al prossimo grande obiettivo, ossia Marte, il tema dello sfruttamento delle risorse minerarie lunari non è più remoto. In questo contesto, è urgente trovare una base normativa condivisa per estrarle e commerciarle. Inoltre, i crescenti sciami di satelliti e i detriti spaziali pongono problematiche che investono una molteplicità di settori, da quello assicurativo a quello della sicurezza. La necessità di un aggiornamento del corpus giuridico che regola le attività umane nello spazio è stata la principale questione affrontata dal convegno “Comparative Visions in Space Law“, organizzato da Sirio Zolea all’Università Roma Tre l’8 e il 9 febbraio, due giorni di tavole rotonde con relatori da diverse zone del mondo.
Il diritto comparativo è sicuramente l’ambito accademico più adatto ad affrontare una giurisprudenza che continua a crescere in modo rapido. Ma è il diritto internazionale che dovrebbe fornire i principi base per renderlo meno frammentario. Sebastiano Fulci, diplomatico dell’ufficio per gli Affari Politici e di Sicurezza della Farnesina, ha illustrato “la natura duale della tecnologia spaziale”. La tecnologia alla base dei moderni propulsori, in fondo, nasce con i razzi V2 che il Terzo Reich scagliò sull’Inghilterra. Sebbene alcune leggi “prevengano in parte una proliferazione di tecnologie spaziali pericolose – dice Fulci – c’è il rischio di proliferazione di armi di distruzione di massa e del loro utilizzo da parte di terroristi o Stati canaglia“. O di guerre vere e proprie.
Leggi e trattati
Cosa potrebbe accadere se tra alcuni anni, due superpotenze si scontrassero per il controllo di un giacimento lunare? Gli Stati Uniti hanno deciso di muoversi prima di tutti con il Commercial Space Launch Competitiveness Act del 2015, che consente alle industrie americane di “impegnarsi nell’esplorazione e nello sfruttamento commerciale delle risorse spaziali” benché Washington non intenda “rivendicare sovranità o diritti sovrani esclusivi o giurisdizione o proprietà su un qualsiasi corpo celeste”. Un precedente che si è guadagnato l’adesione di alcuni Paesi e il rigetto, prevedibile e inevitabile, di altri.
Interpellato dall’AGI, Frans von der Dunk dell’University of Nebraska, tra gli oratori della prima giornata, riconosce che l’accelerazione abbia consentito agli USA di ottenere un indubbio vantaggio competitivo ma non ritiene ci fossero alternative realistiche. L’elefante nella stanza resta Pechino e non è concepibile un nuovo trattato internazionale che non abbia il suo placet. “Si va verso una graduale accettazione della posizione statunitense”, ha affermato Von der Dunk, “da una parte la Cina non si impegnerà mai in qualcosa dove gli USA abbiano il ruolo di guida, dall’altra ci sono ragioni legali che rendono molto ristrette le prospettive di una collaborazione con la Cina, a partire dai fortissimi limiti, anche autorizzativi, al trasferimento di tecnologie”.
Anche il Lussemburgo, cruciale centro finanziario europeo, ha una legge sull’esplorazione e l’utilizzo delle risorse spaziali. Nel 2019 e nel 2021, si sono mossi sulla stessa linea Emirati Arabi Uniti e Giappone. La Cina è indietro sulla tabella di marcia. L’India prova a correre: Purvi Pokharyal e Deepa Dubey dell’Università di Gandhinagar hanno illustrato un programma piuttosto avanzato. A marzo, invece, dovrebbe arrivare in Consiglio dei Ministri la legge sullo spazio italiana, che ambisce a fornire precedenti per l’imminente Space Act dell’Unione Europea. C’è chi invece, come la Russia, il Brasile e il Belgio, teme un monopolio a stelle e strisce e sostiene che leggi nazionali che regolino lo sfruttamento e la vendita delle risorse spaziali violino i trattati.
Ignazio Castellucci dell’Università di Teramo ha espresso l’auspicio che prevalga il modello dell’Antartico, privo di installazioni belliche, ma prevede che le missioni future avranno sempre un profilo sia scientifico che militare. Von der Dunk dubita che ci sarà un nuovo accordo di carattere globale, “dato l’attuale clima politico”. “È probabile che con il tempo sarà accettata la legittimità di licenze unilaterali che rispettino il diritto internazionale”, ha proseguito, citando come possibile modello “la legge dei mari aperti, che non appartengono a nessuno e dove chiunque può andare a pescare“. Nondimeno, il rischio di un depauperamento delle risorse ittiche ha portato alla negoziazione di quote, quindi il problema – nel lungo periodo – si porrà.
Sono già in molti a sostenere che sarà la Luna a fornire una soluzione al problema dei colli di bottiglia che la vitale industria dei semiconduttori ha incontrato negli ultimi anni a causa della scarsità delle materie prime necessarie. “Non penso saremo mai in grado di tornare a un trattato sulla Luna, qualcosa su cui presieda un organismo internazionale”, ammette Von der Dunk, “non credo accadrà ma forse un numero sufficiente di nazioni si schiererà con gli Stati Uniti o con la legge consuetudinaria internazionale”.
Al momento c’è il principio della libertà estrattiva sulla Luna fissata dagli Accordi Artemis, che nel 2020 avevano riscosso l’adesione iniziale di Australia, Canada, Emirati, Giappone, Italia, Lussemburgo e Regno Unito e ora sono saliti a 35 firmatari, tra cui buona parte dei membri dell’Agenzia Spaziale Europea, ultimo dei quali la Grecia, proprio questo 10 febbraio. La Russia ha discusso una cooperazione con la Cina e sta trattando un accordo bilaterale con il Lussemburgo.
“Io temo si andrà verso lo scenario peggiore, una potenziale fonte di conflitti in cui un Paese potrebbe accusare un altro di sfruttamento illegale di risorse. Servirebbe un quadro di regole più rigido“, ha concluso l’accademico americano.
L’arrivo dei privati
A rendere la faccenda ancora più complicata è che, nel frattempo, è arrivato Elon Musk. Il coinvolgimento di soggetti privati così potenti nei programmi spaziali pone il rischio che siano gli imprenditori a scrivere le leggi, ha paventato Anna Marotta, dell’Università della Campania. “Non ho mai visto gli interessi di così tanti operatori privati diventare legge quasi immediatamente come ora”, ha osservato Iva Ramus Cvetkovic dell’Università di Lubiana: la presenza di operatori privati mette a rischio la trasparenza del processo decisionale, che vede recedere l’interesse pubblico.
Vuoti normativi
I vuoti normativi aggredibili sono parecchi. “L’assenza di una legge comune sulle assicurazioni costituisce un problema”, spiega, ad esempio, Diana Cerini dell’Università di Milano-Bicocca, “l’assicurazione è centrale nelle attività spaziali, che si stanno espandendo a una velocità formidabile e sono rischiose per principio, trattandosi di missioni pioneristiche, con rischi che qualcuno in passato definì non assicurabili”.
Se i resti di un veicolo di una determinata nazione, al rientro dall’atmosfera, colpissero un centro abitato in un altro Paese, chi pagherebbe e come? Anche sul fronte della Difesa, “l’assenza di una legge è la fonte dei problemi“, ha osservato il generale Davide Cipelletti, dell’Ufficio per la Politica Spaziale del Ministero della Difesa, che cita l’identificazione dei satelliti Starlink forniti da Musk all’Ucraina quali bersagli legittimi per le forze russe come un esempio delle sfide che ci attendono. “Lo spazio è congestionato, lo spazio è conteso, ed è un ambiente estremo“, ha avvertito.
Un altro vuoto riguarda la protezione della proprietà intellettuale. E, se appare pacifico che le leggi sulla proprietà di cose mobili si applichino in modo più o meno equivalente nello spazio, con i beni immobili si apre un territorio inesplorato, dato che si parlerebbe di appezzamenti di suolo lunare o marziano.
Il Trattato sulla Luna del 1979 pone principi chiari sulla definizione dei corpi celesti come bene comune. Ma i mutamenti nelle relazioni internazionali e nella struttura dell’economia richiedono un immediato aggiornamento. E, se la colonizzazione di Marte è ancora solo un sogno, l’estrazione di minerali dal nostro satellite inizia a diventare un’opzione sempre più concreta.
Corpi celesti bene comune? La risposta è nel diritto romano
Nel trattato dello spazio, l’appartenenza dello spazio esterno e delle sue risorse a tutta l’umanità e la definizione dei corpi celesti come bene comune dovrebbero comunque restare principi chiave. Principi che affondano le loro radici nel diritto romano, ha spiegato il Professor Marco Falcon dell’Università di Padova durante il convegno. “I romani ovviamente non avevano una legge sullo spazio ma, in retrospettiva, il Trattato sullo Spazio Esterno del 1967 è basato su principi che risalgono al diritto romano, che resta una fonte fondamentale di principi giuridici tradizionali. È da lì che vengono espressioni come usque at sidera e le categorie romane della proprietà“, spiega Falcon. In proposito ci viene in soccorso l’antico giurista Marciano, il quale stabilisce che “alcune cose (res communes omnium) sono comuni a tutti secondo la legge naturale, alcune (res nullius) non appartengono a nessuno e la maggior parte a individui che le hanno rispettivamente acquisite in maniere differenti”.
Il riferimento principale è lo ius maris, caso di scuola di res communes omnium che Falcon vede evocato nel film del 2019 “Ad Astra”, interpretato da Brad Pitt: “se un pescatore costruisce una baracca sulla spiaggia, ne è il proprietario, se la baracca viene distrutta dalla tempesta quel territorio torna bene comune“. Papiniano puntualizza che il trascorrere del tempo non concede diritti di proprietà esclusivi sull’arenile. E “di quel che viene offerto dalla natura sulla costa”, scrive Florentino, “ci si può appropriare liberamente”.
Falcon ricorda come nell’Outer Space Treaty siano molteplici i richiami al diritto romano. Nell’articolo 1 viene stabilita la libertà di esplorazione e accesso, nel 2 viene proibito ad attori statali di rivendicare sovranità sullo spazio esterno e i corpi celesti, nel 3 viene enunciata la libertà di attività umane sulla Luna o altri corpi celesti, nel 4 è permesso l’utilizzo di qualsiasi attrezzatura sia diretta all’esplorazione pacifica dello spazio. Il problema è stabilire il discrimine tra res communes omnium, che non possono essere possedute da tutti ma possono essere possedute in parte, e res nullius, delle quali chiunque può prendere possesso senza ulteriori discussioni. “È un concetto legale viscoso, la possibilità di una semplice appropriazione dei beni presenti nello spazio aperto porta alla legge del più forte“, avverte l’accademico, “l’attuale regime giuridico non soddisfa le esigenze di uno sfruttamento di eventuali terre rare, magari fondamentali per la produzione di semiconduttori e batterie”. “Ci saranno dispute – conclude Falcon – può tornare utile il principio del diritto romano che proibisce il pieno sfruttamento delle cose comuni”.