La Terra potrebbe non essere sempre stata una sfera: in origine somigliava ad uno smartie

Una nuova ricerca svela che i pianeti giovani sono strutture appiattite come gli smarties piuttosto che sferici
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Gli astrofisici dell’Università del Central Lancashire (UCLan) hanno scoperto che i pianeti hanno forme appiattite come gli smarties subito dopo la loro formazione, anziché essere sferici come si pensava in precedenza. La ricerca mostra che i protopianeti, che sono pianeti molto giovani recentemente formatisi attorno alle stelle, sono strutture appiattite chiamate sferoidi oblati. Il team del Jeremiah Horrocks Institute for Mathematics, Physics and Astronomy dell’UCLan ha utilizzato simulazioni al computer per modellare la formazione dei pianeti secondo la teoria dell’instabilità del disco, che suggerisce che i protopianeti si formano in tempi brevi dalla rottura di grandi dischi rotanti di gas denso che orbita attorno a stelle giovani.

Adottando questo approccio, il team ha determinato le proprietà dei pianeti, le ha confrontate con le osservazioni ed ha esaminato il meccanismo di formazione dei pianeti giganti gassosi. Si sono concentrati sullo studio della forma dei pianeti giovani e su come questi pianeti potrebbero crescere fino a diventare grandi pianeti giganti gassosi, persino più grandi di Giove. Hanno inoltre esaminato le proprietà dei pianeti che si formano in una varietà di condizioni fisiche, come la temperatura ambiente e la densità del gas.

Il Dottor Adam Fenton, uno studente di dottorato che ha guidato la ricerca, ha detto: “molti esopianeti, che sono pianeti che orbitano attorno a stelle in altri sistemi solari al di fuori del nostro, sono stati scoperti negli ultimi tre decenni. Nonostante ne siano state osservate molte migliaia, il modo in cui si formano rimane inspiegato. Si ritiene che si formino attraverso l'”accrescimento del nucleo”, che è una crescita graduale di particelle di polvere che si uniscono per formare oggetti progressivamente più grandi su scale temporali lunghe, o direttamente dalla rottura di grandi dischi protostellari rotanti attorno a giovani stelle su scale temporali brevi, che è ciò che chiamiamo teoria dell’instabilità del disco. Questa teoria è interessante perché i grandi pianeti possono formarsi molto rapidamente a grandi distanze dalla loro stella madre, il che spiega alcune osservazioni di esopianeti”.

Si è trattato di un progetto computazionale estremamente impegnativo che richiedeva mezzo milione di ore di CPU sulla DiRAC High Performance Computing Facility del Regno Unito. Ma i risultati sono stati sorprendenti e ne è valsa la pena!”.

Il Dottor Dimitris Stamatellos, co-autore dello studio, ha dichiarato: “studiamo la formazione dei pianeti da molto tempo, ma mai prima d’ora avevamo pensato di controllare la forma dei pianeti mentre si formano nelle simulazioni. Avevamo sempre pensato che fossero sferici. Siamo rimasti molto sorpresi dal fatto che si sono rivelati sferoidi oblati, abbastanza simili agli smarties!”.

La conferma osservativa della forma appiattita dei giovani pianeti potrebbe rispondere alla domanda cruciale su come si formano i pianeti, indicando il modello attualmente meno favorito dell’instabilità del disco piuttosto che la teoria standard della formazione planetaria dell’accrescimento del nucleo.

I ricercatori hanno anche scoperto che i nuovi pianeti crescono quando il materiale cade su di essi, prevalentemente dai poli piuttosto che dai loro equatori.

Questi risultati hanno importanti implicazioni per le osservazioni dei giovani pianeti poiché suggeriscono che il modo in cui i pianeti appaiono attraverso un telescopio dipende dall’angolo di visione. Tali osservazioni di pianeti giovani sono importanti per comprendere il meccanismo di formazione dei pianeti.

I ricercatori stanno dando seguito a questa scoperta con modelli computazionali migliorati per esaminare come la forma di questi pianeti è influenzata dall’ambiente in cui si formano e per determinare la loro composizione chimica da confrontare con le future osservazioni del telescopio spaziale James Webb.

I risultati saranno pubblicati sulla rivista peer-reviewed Astronomy & Astrophysics Letters.

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