“Il numero dei pazienti ai quali viene diagnosticata una forma di autismo in età adulta è in aumento. Queste persone, che di solito hanno tra i 20 e i 30 anni, spesso arrivano nei nostri centri con sintomi che potrebbero essere diagnosticati come comuni disturbi d’ansia o depressivi o, ancora, legati all’insonnia. Accade che la manifestazione di questi sintomi sia inusuale o eccessivamente protratta. Quindi si approfondisce il caso ed emerge una forma di autismo”. Lo afferma Marco Colizzi, Professore aggregato di psichiatria presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Udine.
Un aspetto importante nell’aumento di queste diagnosi sembra essere il recente miglioramento della capacità diagnostica che consente di intercettare un numero maggiore di persone con autismo rispetto al passato. “Nel nostro ambulatorio ORA-Osservatorio di Ricerca autismo per la popolazione adulta, vediamo una percentuale importante di persone di sesso femminile che si rivolgono a noi per avere una diagnosi di questo tipo, in controtendenza col dato della letteratura scientifica che vorrebbe la condizione molto più prevalente nel sesso maschile. Le prevalenze, infatti, oscillerebbero da 3 a 1 fino a 7 a 1, con una differenza minore in età adulta – spiega l’esperto – Si tratta di forme lievi di autismo che sono sfuggite a una diagnosi in età infantile o che hanno causato maggior malessere con gli anni”.
Nel processo diagnostico, prosegue, “il nostro compito è proprio quello di andare a ricercare i sintomi chiave dell’autismo. Nel nostro ambulatorio abbiamo ideato un protocollo in cui effettuiamo interviste semi-strutturate che non trascurano i classici disturbi psichiatrici dell’adulto come ansia, depressione, psicosi, disturbi da stress, disturbi della personalità o insonnia, che possono essere presenti in comorbidità. Per il tramite di scale psicometriche, però, esploriamo la possibilità che i sintomi manifestati rientrino in una diagnosi di autismo, generalmente di grado lieve. La persona, dunque, potrebbe avere comunque un disturbo depressivo, ma presentare un disturbo dello spettro autistico verosimilmente preesistente“, afferma lo psichiatra.
I sintomi
Ma come si manifesta l’autismo in età tardiva? Spesso i pazienti arrivano con sintomi di depressione, ansia e insonnia che si sono protratti nel tempo o che si sono presentati in maniera atipica, chiarisce l’esperto. “È frequente che questi sintomi abbiano risposto ai farmaci in modo insoddisfacente o che i medicinali abbiano causato effetti collaterali. Un’indagine accurata della storia della persona rivela segnali, magari trascurati, durante l’età dello sviluppo. Inoltre, le donne sono maggiormente in grado di camuffare i sintomi, col risultato di diagnosi parziali. Alcuni studi riferiscono una potenziale sovrapposizione tra l’autismo femminile e i disturbi del comportamento alimentare, in particolare l’anoressia”, afferma Colizzi.
L’esperto precisa: “stiamo generalmente parlando, voglio ribadirlo, di forme lievi di autismo che sono sfuggite a una diagnosi in età infantile o che hanno causato maggior malessere con l’età adulta quando le richieste socio-relazionali sono aumentate. In caso di persone già note ai servizi della neuropsichiatria infantile, queste potrebbero aver avuto difficoltà nel neurosviluppo, ad esempio episodi di balbuzie, tic, estrema timidezza, o aver ricevuto sostegno scolastico per problematiche di apprendimento. Situazioni in qualche modo poi superate o che comunque non hanno presentato sintomi sufficienti per una diagnosi conclamata di autismo. Il percorso diagnostico è, dunque, estremamente complesso”.
In genere, secondo l’esperto, la reazione di un adulto che scopre di essere autistico non è tanto negativa. “Le persone che ricevono una diagnosi di autismo in età adulta sono generalmente sollevate e grate del percorso effettuato, perché finalmente comprendono l’origine del loro malessere, riuscendo a chiarire questioni personali alle quali hanno cercato a lungo di dare una risposta”, aggiunge lo psichiatra.
Focus sulla palmitoiletanolamide
Colizzi coordina un team di ricercatori che sta indagando se la palmitoiletanolamide, PEA, una molecola endogena con proprietà anti-infiammatorie, lipolitiche e neuroprotettive, possa avere un effetto positivo anche nell’autismo adulto. “Si tratta di un acido grasso simil-cannabinoide già presente nel nostro organismo che si può assumere come alimento a fini medici speciali. Nella sua forma ultra-micronizzata viene assorbita più facilmente e può dare un beneficio al livello del sistema nervoso centrale. Nel 2021 abbiamo condotto la prima revisione della letteratura scientifica circa il ruolo della PEA nell’autismo, pubblicata su Nutrients. Lo studio che stiamo attualmente conducendo – conclude – è il primo che sta testando PEA ultra-micronizzata in adulti con autismo”.