Come fanno alcuni buchi neri a diventare così grandi? Webb potrebbe avere una risposta

Anche i buchi neri più enormi là fuori devono essere stati bambini ad un certo punto, giusto? Il nuovo studio
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Di solito, le notizie più elettrizzanti sui buchi neri riguardano i vuoti più grandi e violenti che possiamo immaginare, ossia i buchi neri supermassicci che vantano miliardi di volte la massa del Sole. Quelli chiamati quasar divorano la materia circostante e ne emettono l’eccesso in modo così aggressivo da creare schemi di luce che eclissano persino le galassie in cui vivono. Ora, gli scienziati hanno pubblicato uno studio che serve da promemoria: i buchi neri cattivi non sono gli unici a cui vale la pena pensare.

Con l’aiuto del telescopio spaziale James Webb, un team di astronomi ha identificato una popolazione di quasar luminosi che non sono tipicamente enormi. Per essere chiari, sono enormi, dato che sono ancora buchi neri supermassicci, ma semplicemente non sono così enormi.

Il motivo per cui questa scoperta è un qualcosa di importante è che, per molto tempo, gli scienziati non sono stati sicuri di come alcuni di questi quasar raggiungano le dimensioni gigantesche che osserviamo. Sappiamo che esistono quasar straordinariamente massicci, ma non è ancora chiaro come, precisamente, questi quasar guadagnino quello status di massa sconvolgente. Anche con il livello maggiore di materia che assorbono, è quasi come se non fosse passato abbastanza tempo perché raggiungessero la loro forma finale. Quindi, questi quasar più piccoli appena scoperti potrebbero rappresentare una fase di transizione dei colossi, colmando una lacuna che gli scienziati sperano da tempo di colmare?

Un problema con i quasar è che alcuni di essi sembrano essere eccessivamente massicci, troppo massicci data l’età dell’universo in cui vengono osservati i quasar“, afferma Jorryt Matthee, autore principale dello studio e assistente professore presso l’Institute of Science and Technology Austria. “Li chiamiamo ‘quasar problematici'”.

Misteri supermassicci

La vita di questi “quasar problematici” inizia con la morte di stelle massicce. Quando una stella veramente massiccia si avvicina alla fine della sua vita, i suoi processi intrinseci di fusione nucleare, mediante i quali trasforma l’idrogeno in elio, iniziano a esaurirsi. Alla fine, tale fusione interna si interrompe completamente. Questo è un problema per una stella che desidera combattere la morsa della morte. Una volta terminata la fusione, termina anche la pressione verso l’esterno che ha mantenuto stabile la stella contro la spinta verso l’interno della sua stessa gravità per milioni, spesso miliardi, di anni. Alla fine, la stella collassa su se stessa. Muore come una supernova esplosiva e nasce un buco nero.

Quindi, se questo buco nero inizia a nutrirsi attivamente della materia circostante, alla fine diventa un grande quasar. Ma qui sta il problema: cosa succede nel mezzo?

Se consideriamo che i quasar hanno origine dalle esplosioni di stelle massicce – e che conosciamo il loro tasso di crescita massimo dalle leggi generali della fisica – alcuni di loro sembrano cresciuti più velocemente di quanto sia possibile“, ha spiegato Matthee. “È come guardare un bambino di cinque anni alto 2 metri. Qualcosa non quadra”.

È qui che entra in gioco la scoperta di buchi neri di medie dimensioni da parte del team. Forse questi quasar più piccoli rappresentano il pezzo mancante della problematica sequenza temporale dei quasar.

“I buchi neri e [i buchi neri supermassicci] sono forse le cose più interessanti nell’universo. È difficile spiegare perché sono lì, ma ci sono. Speriamo che questo lavoro ci aiuti a sollevare uno dei più grandi veli di mistero sull’universo“, ha detto Matthee.

Seguire i punti rossi

In modo piuttosto cinematografico, i ricercatori affermano che il telescopio spaziale James Webb ha identificato gli oggetti – che il team chiama adorabilmente “baby quasar” – sotto forma di numerosi piccoli punti rossi. “Mentre i ‘quasar problematici’ sono blu, estremamente luminosi e raggiungono miliardi di volte la massa del sole, i piccoli punti rossi sono più simili a ‘baby quasar’. Le loro masse sono comprese tra 10 e 100 milioni di masse solari”, ha detto Matthee. “Inoltre, appaiono rossi perché sono polverosi. La polvere oscura i buchi neri e arrossa i colori”.

galassie e quasar
Credit: NASA, ESA, CSA, J. Matthee (ISTA), R. Mackenzie (ETH Zurich), D. Kashino (National Observatory of Japan), S. Lilly (ETH Zurich)

È anche fondamentale notare che il team sa che questi buchi neri osservati sono effettivamente quasar – ovvero si stanno nutrendo attivamente (o almeno lo faranno) – anche a causa della tinta rossastra. I ricercatori spiegano che i loro target emettono quelle che sono conosciute come “righe di emissione spettrali Hα” con “profili a linea larga”. Queste righe spettrali, dicono, vengono emesse quando gli atomi di idrogeno vengono riscaldati; la larghezza delle righe può anche tracciare il movimento del gas. Più ampia è la base della riga, maggiore è la velocità del gas.

“Pertanto, questi spettri ci dicono che stiamo osservando una nuvola di gas molto piccola che si muove estremamente rapidamente e orbita attorno a qualcosa di molto massiccio come un [buco nero supermassiccio]“, ha detto Matthee.

Il naturale passo successivo per il team è quello di indagare su questi piccoli quasar in modo più dettagliato, tentando di collegarli veramente ai loro fratelli maggiori. Il team è in generale piuttosto entusiasta dei set di dati catturati dal telescopio James Webb della regione nello spazio esaminata. Una delle collaborazioni dietro i dati, soprannominata EIGER non era nemmeno progettata per trovare i punti rossi su cui si era imbattuta. “Li abbiamo trovati per caso“, ha detto Matthee.

Se alzi l’indice e distendi completamente il braccio, la regione del cielo notturno che abbiamo esplorato corrisponde a circa un ventesimo della superficie dell’unghia. Finora probabilmente abbiamo solo scalfito la superficie”. “Analizzare questi buchi neri – conclude Matthee – potrebbe aiutarci a comprendere meglio le origini dei buchi neri supermassici, dei quasar, e di alcuni dei misteri più affascinanti del nostro universo”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal.

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