Nella storia scientifica, poche epoche risplendono con la stessa intensità della prima metà del XX secolo. È un’epoca di avventura intellettuale, una corsa sfrenata verso il mistero, una danza di menti illuminate che si sfidano e si uniscono per svelare i segreti più profondi dell’universo. In questa galassia di geni e idee, c’è una stella che brilla con una luce particolare: è la meccanica quantistica, una teoria che ha sfidato le leggi della fisica e cambiato il corso della storia.
Com’è nata la meccanica quantistica?
Tutto ha avuto inizio quando Einstein ha detto: “Dio non gioca a dadi con l’universo!” e Bohr ha risposto: “Einstein, smettila di dire a Dio cosa può e non può fare!”
Al centro di questa saga epica c’è la celebre quinta Conferenza Solvay del 1927, un evento che è entrato a pieno titolo nella leggenda della storia scientifica. Qui, alcuni dei più grandi intelletti della fisica si sono riuniti per discutere il destino della nostra comprensione del mondo. Tra loro spiccano nomi come Niels Bohr, Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger, Max Born e, naturalmente, Albert Einstein.
Einstein, con la sua mente titanica, difendeva con ardore le teorie della relatività e una concezione deterministica della realtà. Tuttavia, di fronte all’emergere di una nuova visione del cosmo – quella della meccanica quantistica – si trovò in una posizione di scontro.
Dall’altro lato della barricata, Bohr e il suo gruppo incarnavano una visione più fluida e caotica del cosmo. Con arguzia e ingegno, difendevano una visione del mondo in cui l’incertezza e il caso dominavano la scena. I loro confronti con Einstein alla Conferenza Solvay diventarono leggendari, duelli tra titani del pensiero.
Ma il vero fulcro della narrazione si trova nel 1935, quando Einstein, insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen, lanciò una sfida diretta alla validità della meccanica quantistica stessa. Il loro articolo sosteneva l’esistenza di “variabili nascoste“, che avrebbero potuto restituire alla realtà la sua faccia deterministica. Tuttavia, come sottolinea Atalay, questa sfida si rivelò essere una chimera, schiacciata dal peso delle evidenze sperimentali e della logica stessa.
L’apporto di Bell
Ma la storia della meccanica quantistica non si fermò nel 1935; piuttosto, si sviluppò in una nuova era di scoperte e sfide. Il lavoro di scienziati come John Stewart Bell, con la sua famosa teoria che mette alla prova i limiti della realtà quantistica, ha portato avanti il testimone della ricerca. Le sue sperimentazioni e quelle che seguirono hanno continuato a sfidare e a illuminare le nostre concezioni del mondo.
John Stewart Bell ha sviluppato questa teoria negli anni ’60 del XX secolo come un tentativo di risolvere il cosiddetto “paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen” (EPR). Questo paradosso fu proposto nel 1935 da Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen come un’argomentazione contro l’interpretazione della meccanica quantistica accettata comunemente, suggerendo che la teoria quantistica non fosse completa perché sembrava implicare azioni a distanza istantanee, violando così la teoria della relatività speciale di Einstein.
Bell ha sviluppato un’ineguaglianza matematica, nota come “ineguaglianze di Bell“, che possono essere testate sperimentalmente per determinare se le correlazioni tra le proprietà fisiche di particelle quantistiche, come ad esempio lo spin di particelle entangled, possono essere spiegate da variabili nascoste locali o se richiedono una spiegazione basata su una connessione quantistica non locale.
Le ineguaglianze di Bell dimostrano che, se la meccanica quantistica è corretta, le correlazioni tra le proprietà di particelle entangled non possono essere spiegate completamente attraverso variabili nascoste locali, ma richiedono una sorta di “connessione istantanea” tra le particelle. Questo fenomeno è noto come “non-località” e implica che le particelle possono influenzarsi a vicenda istantaneamente, indipendentemente dalla distanza che le separa.
L’esperimento di violazione delle disuguaglianze di Bell ha dato riscontro sperimentale alla previsione della meccanica quantistica, dimostrando che le correlazioni quantistiche non possono essere spiegate in termini di variabili nascoste locali e che Einstein aveva torto.