Dio, Scienza e Verità: la conversazione eterea tra Einstein e Tagore

"Ci sono due diverse concezioni sulla natura dell’universo"
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Nel pomeriggio del 14 luglio del 1930, il tranquillo borgo di Caputh, ai margini di Berlino, sembra improvvisamente risvegliarsi. Davanti a una modesta dimora in legno, si avvicina una figura imponente, tanto misteriosa quanto affascinante. Quest’uomo dalle fattezze orientali, con una barba lunga e occhi penetranti, cammina con passo sicuro accanto a un compagno dallo sguardo intelligente e lo stile più convenzionale. È Rabindranath Tagore, il celebre poeta e filosofo indiano, premio Nobel per la letteratura nel 1913, accompagnato dal dottor Mendel, un mediatore di incontri tra menti brillanti. La casa che hanno di fronte è il rifugio di Albert Einstein, lo scienziato che ha dato al mondo la teoria della relatività.

Conversazioni su Dio

Il salotto della dimora di Einstein teatro per una conversazione che trasforma il confronto tra due visioni del mondo in un’epica esplorazione della conoscenza umana. Einstein, con la sua razionalità acuta, interpella Tagore con domande audaci sulla natura del divino e dell’universo. Tagore, con la sua saggezza millenaria, risponde con un’intelligenza sottile e una profonda comprensione della vita e dell’esistenza.

La discussione si dipana attraverso argomenti complessi, come la relazione tra l’uomo e l’universo e la natura della verità e della bellezza. Tagore propone una visione in cui la coscienza umana è intrinsecamente legata alla comprensione dell’universo, mentre Einstein difende l’idea di una verità oggettiva al di là delle esperienze umane.

Nonostante le divergenze di opinione, emerge una profonda intesa tra i due uomini, che si rispettano e si stimano reciprocamente. Le loro menti, apparentemente così distanti, si incontrano in un terreno comune di ricerca della verità e della bellezza.

Il dottor Mendel, figura di spicco nella cerchia degli intellettuali, aveva orchestrato questo incontro, convinto che il dialogo tra scienza e spiritualità potesse portare a nuove prospettive e scoperte. E, in effetti, non si sbagliava.

Il divino e il mondo

La conversazione, opportunamente registrata per la posterità, inizia con una domanda diretta da parte di Einstein: “Credi che il divino sia isolato dal mondo?“. La risposta di Tagore è “Non è isolato. L’infinita personalità dell’uomo comprende l’universo. Non c’è nulla che non possa essere compreso dalla personalità umana, e questo prova che la verità dell’universo è una verità umana“. Ma Einstein, con la sua razionalità scientifica, cerca di argomentare dalla sua parte, delineando due diverse concezioni dell’universo: “Ci sono due diverse concezioni sulla natura dell’universo: il mondo come unità dipendente dall’umanità, e il mondo come realtà indipendente dal fattore umano“.

Tagore, con calma e determinazione, ribatte: “Quando l’universo è in armonia con l’uomo, conosciamo l’eterno come Reale e ne sentiamo la bellezza. Ma questa è una concezione puramente umana dell’universo“. E continua: “Il mondo è un mondo umano, la sua visione scientifica è anch’essa quella di un uomo scientifico. Pertanto il mondo senza di noi non esiste; è un mondo relativo, la cui realtà dipende dalla nostra coscienza. C’è una qualche misura di ragione e di piacere che gli conferisce verità ed è la misura dell’uomo eterno le cui esperienze sono rese possibili attraverso le nostre esperienze“.

Einstein, cerca di mettere alla prova le convinzioni del poeta: “Questa è una realizzazione dell’entità umana“.

Verità e bellezza

Il confronto tra le due menti luminose continua, toccando temi come la natura della verità e della bellezza, e la relazione tra scienza e religione. Tagore difende la sua visione della bellezza come manifestazione dell’armonia universale: “La scienza si occupa di ciò che non è confinato nell’individuale; è il mondo impersonale e umano delle Verità. La religione realizza quelle Verità e le unisce con i nostri bisogni più profondi. La nostra coscienza individuale della Verità guadagna così un significato universale. La religione conferisce valore alla Verità, e noi conosciamo la Verità così bene attraverso la nostra armonia con essa“.

Einstein continua, chiedendo se la verità, allora, o la bellezza, non sia indipendente dall’uomo. “No“, afferma Tagore . “E se gli esseri umani non ci fossero più, l’Apollo del Belvedere non sarebbe più bello?“. La risposta di Tagore è sempre negativa.

Dopo un breve sospiro, Einstein si sofferma sulle parole di Tagore: “Concordo con questa concezione della bellezza, ma non con quella della verità“. La risposta non si fa attendere: “Perché no?” chiede Tagore. “La verità è realizzata attraverso gli uomini“, afferma con fermezza lo scienziato. La sua risposta, però, è permeata da un senso di dubbio: “Non posso provare che la mia concezione sia giusta“, afferma Einstein con un tocco socratico, “ma questa è la mia religione“.

Tagore, con la sua tipica serenità, espone la sua visione: “La bellezza risiede nell’armonia universale; la Verità è la comprensione perfetta della mente universale. Noi, come individui, ci avviciniamo a queste attraverso i nostri errori e le nostre esperienze, illuminando le nostre coscienze. Come potremmo altrimenti conoscere la verità?“. Tuttavia, Einstein, rimanendo saldo nella sua prospettiva, risponde: “Non posso dimostrarlo, ma io credo nell’argomento pitagorico che la verità sia indipendente dagli esseri umani“.

Mente e “relatività”

L’intera mente umana comprende la verità; le menti indiane e quelle europee si incontrano in una comprensione comune“, ribadisce Tagore, mentre Einstein esprime un dubbio: “Il problema è se la verità sia indipendente dalla nostra coscienza“. Tagore fugge prontamente il dubbio: “La Verità risiede nell’armonia tra l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della realtà, appartenenti entrambi all’uomo super-personale“.

Il tedesco, in disaccordo, afferma: “Noi facciamo cose con le nostre menti, anche nella nostra vita quotidiana, per le quali non siamo responsabili. La mente riconosce delle realtà esterne a essa, indipendenti da essa. Per esempio – indicando il tavolino in legno vicino a loro – se nessuno fosse in questa casa, il tavolo resterebbe dov’è“.

Esatto, rimane fuori dalla mente individuale, ma non dalla mente universale. Il tavolo è ciò che è percepibile da qualche tipo di coscienza che possediamo“, replica Tagore con tranquillità.

Sul viso di Einstein appare un sorriso, quasi anticipando quella risposta: “Ma se nessuno fosse in casa, il tavolo continuerebbe a esistere, e questo è già scorretto dal suo punto di vista, perché noi non possiamo spiegare cosa significa dire che ‘il tavolo’ è lì, indipendentemente da noi. Il nostro punto di vista naturale sull’esistenza della verità separata dall’umanità non può essere spiegato o provato, ma è una credenza che non può mancare a nessuno, neanche a esseri primitivi. Noi attribuiamo alla verità un’oggettività superumana. Ci è indispensabile – questa realtà che è indipendente dalla nostra esistenza e dalla nostra esperienza e dalla nostra mente – anche se non possiamo spiegare cosa significa“.

Tagore risponde: “La scienza ha dimostrato che il tavolo come oggetto solido è un’apparenza e perciò quella cosa che la mente umana percepisce come tavolo non esisterebbe senza la mente. Allo stesso tempo si deve ammettere il fatto che la realtà fisica definitiva non è altro che una moltitudine di centri di forze elettriche in movimento, che appartiene anch’essa alla mente umana. Nell’apprendimento della verità c’è un conflitto esterno tra la mente umana universale e la stessa mente confinata nell’individuo. Il processo continuo di riconciliazione prosegue nella scienza, nella filosofia, e nell’etica. In ogni caso, se ci fosse una qualsiasi verità assoluta staccata dall’umanità, per noi sarebbe assolutamente non esistente.”

Einstein divertito esclama: “Mi permetta, ma allora io sono più religioso di voi!“. A questa affermazione, Tagore replica: “La mia religione è nella riconciliazione dell’uomo super-personale, dello spirito universale, nel mio essere individuale“.

Da questo affascinante dialogo tra Einstein e Tagore emerge una lezione profonda: ogni cosa è interconnessa e ogni prospettiva ha un suo valore nel grande mosaico della conoscenza umana.

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