Le trasformazioni nell’attività umana potrebbero aver influito sulla riduzione dei livelli atmosferici di CO₂ nel XVI secolo, come indicato da uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications. Questo fenomeno potrebbe essere stato causato dai considerevoli cambiamenti nell’uso del suolo verificatisi nelle Americhe durante il periodo di contatto tra il Vecchio e il Nuovo Mondo, un intervallo temporale che si estende approssimativamente dal 1450 al 1700. I risultati di questa analisi si basano sui dati raccolti da un nucleo di ghiaccio antartico, la cui datazione risale a circa 500 anni fa.
La riduzione dei livelli di CO₂
Nonostante sia ampiamente riconosciuto che l’attività umana abbia contribuito all’aumento dei livelli di CO₂ atmosferica, in particolare attraverso il processo di industrializzazione, emerge da questa ricerca un’importante sfumatura: tali variazioni potrebbero aver avuto un impatto significativo anche prima dell’avvento dell’era industriale.
Un esempio eloquente di questo concetto è rappresentato dal periodo di interazione tra Europa e Americhe nel XVI secolo, che ha sperimentato una riduzione demografica significativa a causa di una pandemia. Questo evento potrebbe aver portato all’abbandono di vaste estensioni di territorio, consentendo la rigenerazione della vegetazione, l’assorbimento di carbonio dall’atmosfera e, conseguentemente, una riduzione dei livelli di CO₂.
Le “dichiarazioni” del ghiaccio
Le evidenze raccolte dai dati dei nuclei di ghiaccio relativi ai livelli di CO₂ nell’arco degli ultimi 2.000 anni offrono una visione d’insieme dell’aumento senza precedenti delle emissioni attribuibile all’attività umana. Amy King e i suoi collaboratori presso la British Antarctic Survey, Cambridge, hanno effettuato misurazioni dei livelli di CO₂ all’interno della carota di ghiaccio Skytrain, trivellata nel corso del biennio 2018-2019.
Situata ai margini della calotta glaciale dell’Antartide occidentale, questa carota, datata tra il 1454 e il 1688, ha mostrato una diminuzione graduale dei livelli di CO₂ tra il 1516 e il 1670, con una media di 0,5 parti per milione (ppm) per decennio. È stata inoltre stimata un’assimilazione di carbonio terrestre pari a 2,6 petagrammi di carbonio (PgC) ogni 10 anni. Gli studiosi suggeriscono che questo declino graduale sia in sintonia con i modelli di riduzione della CO₂ attribuibili ai cambiamenti nell’uso del suolo nelle Americhe dopo il contatto tra il Vecchio e il Nuovo Mondo nel XVI secolo.
L’impatto delle attività umane
L’importanza di tali scoperte va oltre la semplice comprensione storica, poiché suggeriscono che i dati raccolti dai nuclei di ghiaccio possano fornire un quadro più completo e dettagliato dell’impatto dell’attività umana sulla composizione atmosferica, anche prima dell’era industriale. Queste informazioni potrebbero contribuire a una migliore comprensione delle dinamiche ambientali del passato e ad avanzare strategie più efficaci per la gestione sostenibile del nostro pianeta.
Inoltre, l’articolo mette in evidenza il ruolo cruciale dei modelli climatici e delle simulazioni al computer nel processo di interpretazione dei dati raccolti dai nuclei di ghiaccio. Sottolinea, inoltre, l’importanza della collaborazione interdisciplinare tra scienze ambientali, climatologia, glaciologia e biologia per affrontare con successo le sfide globali legate al cambiamento climatico e alla sostenibilità ambientale.