Si stima che fino all’85% delle stelle esista in sistemi stellari binari, alcune anche in sistemi con tre o più stelle. Queste coppie stellari nascono insieme dalla stessa nube molecolare da un’abbondanza condivisa di elementi costitutivi chimici, quindi gli astronomi si aspetterebbero di scoprire che hanno composizioni e sistemi planetari quasi identici. Tuttavia, per molti binari questo non è il caso. Mentre alcune spiegazioni proposte attribuiscono queste differenze a eventi accaduti dopo l’evoluzione delle stelle, un team di astronomi ha confermato per la prima volta che possono effettivamente avere origine prima ancora che le stelle iniziassero a formarsi.
Guidato da Carlos Saffe dell’Istituto di Scienze Astronomiche, della Terra e dello Spazio (ICATE-CONICET) in Argentina, il team ha utilizzato il telescopio Gemini South in Cile. Con il Gemini High Resolution Optical SpecTrograph (GHOST), il team ha studiato le diverse lunghezze d’onda della luce, o spettri, emesse da una coppia di stelle giganti, che hanno rivelato differenze significative nella loro composizione chimica. “Gli spettri di altissima qualità di GHOST hanno offerto una risoluzione senza precedenti”, ha affermato Saffe, “permettendoci di misurare i parametri stellari e le abbondanze chimiche delle stelle con la massima precisione possibile”. Queste misurazioni hanno rivelato che una stella aveva una maggiore abbondanza di elementi pesanti rispetto all’altra. Per risolvere l’origine di questa discrepanza, il team ha utilizzato un approccio unico.
Le tre spiegazioni possibili precedenti
Studi precedenti hanno proposto tre possibili spiegazioni per le differenze chimiche osservate tra le stelle binarie. Due di essi coinvolgono processi che si verificherebbero durante l’evoluzione delle stelle: la diffusione atomica, ossia la sedimentazione di elementi chimici in strati gradienti a seconda della temperatura di ciascuna stella e della gravità superficiale; e l’inghiottimento di un piccolo pianeta roccioso, che introdurrebbe variazioni chimiche nella composizione di una stella.
La terza possibile spiegazione risale all’inizio della formazione delle stelle, suggerendo che le differenze abbiano origine da aree primordiali, o preesistenti, di disuniformità all’interno della nube molecolare. In termini più semplici, se la nube molecolare ha una distribuzione non uniforme di elementi chimici, le stelle nate all’interno di quella nube avranno composizioni diverse a seconda di quali elementi erano disponibili nel luogo in cui si sono formate.
Finora gli studi hanno concluso che tutte e tre le spiegazioni sono probabili; tuttavia, questi studi si sono concentrati esclusivamente sui binari della sequenza principale. La “sequenza principale” è lo stadio in cui una stella trascorre gran parte della sua esistenza, e la maggior parte delle stelle nell’Universo sono stelle della sequenza principale, compreso il nostro Sole.
Il nuovo studio
Invece, Saffe e il suo team hanno osservato un sistema binario composto da due stelle giganti. Queste stelle possiedono strati esterni estremamente profondi e fortemente turbolenti, dette zone convettive. A causa delle proprietà di queste spesse zone convettive, il team è stato in grado di escludere due delle tre possibili spiegazioni.
Il continuo turbinio di fluido all’interno della zona convettiva renderebbe difficile la sedimentazione del materiale in strati, il che significa che le stelle giganti sono meno sensibili agli effetti della diffusione atomica, escludendo dunque la prima spiegazione. Lo spesso strato esterno significa anche che un inghiottimento planetario non cambierebbe molto la composizione di una stella poiché il materiale ingerito verrebbe rapidamente diluito, escludendo la seconda spiegazione.
Ciò lascia come spiegazione confermata le disomogeneità primordiali all’interno della nube molecolare. “Questa è la prima volta che gli astronomi sono riusciti a confermare che le differenze tra le stelle binarie iniziano nelle prime fasi della loro formazione”, ha detto Saffe. “Utilizzando le capacità di misurazione di precisione fornite dallo strumento GHOST, Gemini South sta ora raccogliendo osservazioni di stelle alla fine della loro vita per rivelare l’ambiente in cui sono nate“, afferma Martin Still, direttore del programma NSF per l’Osservatorio Internazionale Gemini. “Questo ci dà la possibilità di esplorare come le condizioni in cui si formano le stelle possono influenzare la loro intera esistenza per milioni o miliardi di anni”.
Le conseguenze dello studio
Tre conseguenze di questo studio sono di particolare significato. Innanzitutto, questi risultati offrono una spiegazione del motivo per cui gli astronomi vedono stelle binarie con sistemi planetari così diversi. “Diversi sistemi planetari potrebbero significare pianeti molto diversi – rocciosi, simili alla Terra, giganti di ghiaccio, giganti gassosi – che orbitano attorno alle loro stelle ospiti a distanze diverse e dove il potenziale per sostenere la vita potrebbe essere molto diverso”, ha detto Saffe.
In secondo luogo, questi risultati rappresentano una sfida cruciale al concetto di “chemical tagging”, ossia utilizzare la composizione chimica per identificare stelle che provengono dallo stesso ambiente o vivaio stellare, mostrando che stelle con composizioni chimiche diverse possono ancora avere la stessa origine.
Infine, le differenze osservate precedentemente attribuite agli impatti planetari sulla superficie di una stella dovranno essere riviste, poiché ora potrebbero essere viste come presenti fin dall’inizio della vita della stella.
“Dimostrando per la prima volta che le differenze primordiali sono realmente presenti e responsabili delle differenze tra le stelle gemelle, dimostriamo che la formazione di stelle e pianeti potrebbe essere più complessa di quanto si pensasse inizialmente. L’Universo ama la diversità!”, conclude Saffe.