Confini in bilico: il futuro territoriale di Israele nel contesto del conflitto con Hamas

Se Israele dovesse emergere vittoriosa da un conflitto nella regione, i confini potrebbero subire trasformazioni di vasta portata
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L’attacco senza precedenti lanciato da Hamas contro Israele ha sollevato interrogativi cruciali sul futuro dei confini nella regione. Esaminiamo le potenziali trasformazioni territoriali che potrebbero verificarsi in seguito a un cambiamento di equilibrio nel conflitto israelo-palestinese. Attraverso una valutazione approfondita, esploreremo come la vittoria o la sconfitta potrebbero ridefinire i confini di Israele, analizzando le implicazioni politiche, sociali ed economiche di tali scenari.

Storia dello Stato di Israele

La storia dei confini dello Stato di Israele è intrinsecamente legata agli eventi che hanno plasmato la regione nel corso dei secoli. Dalla sua antica storia come sede di regni ebraici e dominazioni straniere come quella romana, bizantina e araba, fino alla sua inclusione nell’Impero Ottomano fino alla fine della prima guerra mondiale, la terra di Israele ha attraversato un percorso complesso e variegato.

Periodo Pre-Stato di Israele

La terra di Israele ha una storia millenaria, popolata da una varietà di popoli e culture nel corso dei secoli. Anticamente, è stata sede di regni ebraici e ha sperimentato dominazioni romane, bizantine e arabe. Nel periodo moderno, la Palestina faceva parte dell’Impero Ottomano fino alla fine della prima guerra mondiale.

1917-1947: Mandato Britannico sulla Palestina

Dopo la prima guerra mondiale, la Palestina passò sotto il mandato britannico. Durante questo periodo, l’immigrazione ebraica in Palestina aumentò notevolmente, spinta da vari fattori, tra cui persecuzioni antisemite in Europa e un crescente movimento sionista che promuoveva il ritorno degli ebrei alla loro terra ancestrale. Questo aumento dell’immigrazione ebraica provocò tensioni con la popolazione araba locale, che temeva la perdita del proprio territorio e delle proprie risorse.

1947: Piano di Partizione delle Nazioni Unite

Di fronte alle crescenti tensioni etniche e religiose, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il Piano di Partizione il 29 novembre 1947. Questo piano prevedeva la divisione della Palestina in due stati separati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme designata come una città internazionale. Gli ebrei accettarono il piano, mentre gli stati arabi lo respinsero, considerandolo ingiusto e unilaterale.

1948: Dichiarazione di Indipendenza e Guerra d’Indipendenza

Il 14 maggio 1948, David Ben-Gurion, leader del movimento sionista, proclamò l’indipendenza dello Stato di Israele. Poco dopo, gli stati arabi circostanti (Egitto, Siria, Transgiordania – ora Giordania, Libano e Iraq) attaccarono il neonato stato, dando inizio alla guerra d’indipendenza di Israele. Nonostante le forze israeliane fossero numericamente inferiori e meno organizzate, riuscirono a respingere gli attacchi e a consolidare il controllo su una porzione significativa del territorio.

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1949-1967: Linee di Armistizio e Crescita Economica

Dopo la guerra d’indipendenza, furono siglati accordi di armistizio con i paesi confinanti, ma non furono raggiunti accordi di pace definitivi. Le “linee di armistizio” stabilirono i confini temporanei tra Israele e i suoi vicini, che non furono riconosciuti come confini internazionalmente legali. Questo periodo vide una rapida crescita economica in Israele, con l’arrivo di migliaia di ebrei sfollati dalla Shoah (Olocausto) e l’immigrazione di ebrei da paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

1967: Guerra dei Sei Giorni e Occupazione

Nel 1967, Israele si trovò coinvolta nella guerra dei sei giorni contro Egitto, Siria e Giordania. In soli sei giorni di combattimento, Israele ottenne una vittoria sorprendentemente rapida, conquistando la Cisgiordania (precedentemente controllata dalla Giordania), la Striscia di Gaza (precedentemente controllata dall’Egitto), Gerusalemme Est e le alture del Golan (precedentemente controllate dalla Siria). Questi territori occupati cambiarono radicalmente il panorama geopolitico della regione e costituirono la base per il conflitto israelo-palestinese in corso.

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Israele prima e dopo la guerra dei sei giorni

1979: Trattato di Pace con l’Egitto

Nel 1979, Israele e l’Egitto firmarono un trattato di pace sotto la mediazione degli Stati Uniti a Camp David. Come parte di questo accordo, Israele restituì la Penisola del Sinai all’Egitto, che era stata occupata durante la guerra dei sei giorni.

1994: Trattato di Pace con la Giordania

Nel 1994, Israele e la Giordania firmarono un trattato di pace, ponendo fine formalmente allo stato di guerra tra i due paesi e normalizzando le relazioni diplomatiche.

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L’attacco di Hamas

La mattina del 7 ottobre un attacco di Hamas è stato lanciato dalla Striscia di Gaza, cogliendo di sorpresa Israele. Migliaia di razzi da Gaza sono stati lanciati verso le regioni del centro e del sud di Israele. Allo stesso tempo, miliziani di Hamas hanno oltrepassato il confine israeliano dalla Striscia di Gaza per dare inizio a un’aggressione e prendere il controllo di alcune località nel sud del paese.

Nell’attacco, i miliziani di Hamas hanno ucciso almeno 1.200 israeliani, quasi tutti civili, causato più di 3.000 feriti e preso in ostaggio circa 240 persone. L’escalation tra Hamas e Israele è stata descritta da molti come la più violenta degli ultimi anni e paragonata alla guerra dello Yom Kippur del 1973. Il governo israeliano si è prontamente riunito per rispondere alla crisi, avviando l’operazione aerea denominata “Spade di ferro” sopra i cieli di Gaza. Decine di aerei hanno preso il volo e colpito la Striscia nel tentativo di colpire obiettivi militari di Hamas.

Secondo il ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas, i bombardamenti dell’aviazione israeliana hanno causato più di 16.000 morti e più di 40.000 feriti.

L’attacco di Hamas

Cos’è la striscia di Gaza? E perché è così contesa?

La Striscia di Gaza, una regione costiera di 360 km², ospita più di 2 milioni di persone, di cui oltre 1 milione e 400 mila hanno lo status di rifugiati. Dal 1967 fino al 2005, questa zona è stata sotto occupazione militare israeliana. Tuttavia, nel 2007, due anni dopo il ritiro israeliano, Hamas ha preso il controllo della Striscia.

Da allora, Israele ha imposto un blocco quasi totale, chiudendo i valichi di frontiera con il Paese e limitando gli accessi via mare e aerei, una situazione che perdura ancora oggi. Anche il valico di frontiera con l’Egitto, a Rafah, è aperto solo a intermittenza. Attualmente, oltre l’80% della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti umanitari, mentre il tasso di disoccupazione sfiora il 50%. A causa delle frequenti chiusure dei valichi d’accesso, le poche imprese che operano nella produzione di beni di prima necessità sono costrette a lavorare a intermittenza.

L’avanzata israeliana a Gaza

I palestinesi, in particolare il movimento Hamas che governa la Striscia di Gaza dal 2007, cercano il riconoscimento internazionale e l’indipendenza, mentre Israele mira a proteggere la sua sicurezza e ad evitare attacchi terroristici dalla regione. Questo conflitto di interessi porta a tensioni costanti e a periodi di violenza, rendendo la Striscia di Gaza un’area estremamente contesa.

I confini di Israele se vincesse la guerra

Se Israele dovesse emergere vittoriosa da un conflitto nella regione, i confini potrebbero subire trasformazioni di vasta portata, con implicazioni significative per la politica, la sicurezza e la stabilità della regione.

In primo luogo, Israele potrebbe optare per una politica di consolidamento del proprio dominio sulla Striscia di Gaza, estendendo i confini israeliani per includere porzioni della Striscia stessa o stabilendo una sorta di zona cuscinetto lungo il confine. Ciò potrebbe comportare la costruzione di barriere fisiche, come muri o recinzioni, allo scopo di delimitare chiaramente il confine tra Israele e Gaza.

Inoltre, potrebbe essere istituita una presenza militare permanente lungo il confine, con una maggiore sorveglianza e controlli più rigorosi sul movimento delle persone e delle merci attraverso la regione. Questo consolidamento potrebbe riflettersi anche nella politica di controllo delle risorse, con Israele che esercita un maggiore controllo sull’accesso all’acqua, all’elettricità e ad altre risorse cruciali per la vita quotidiana dei palestinesi. Tuttavia, una tale mossa potrebbe anche portare a un’escalation delle tensioni con i vicini arabi e a una maggiore ostilità nella regione, con il rischio di un aumento delle violenze e degli scontri.

I confini di Israele se perdesse la guerra

D’altra parte, in caso di sconfitta israeliana, i confini potrebbero subire un cambiamento radicale, con profonde implicazioni politiche, sociali ed economiche per la regione nel suo complesso. Israele potrebbe essere costretto a ritirarsi ulteriormente dai territori occupati, inclusa la Striscia di Gaza, e a ridimensionare le proprie pretese territoriali.

Ciò potrebbe comportare la rimozione delle barriere fisiche che separano Gaza da Israele e un cambiamento sostanziale nel controllo delle frontiere e delle risorse. Tale ritiro potrebbe anche implicare un riorientamento delle politiche di sicurezza e difesa di Israele, con un ridimensionamento delle operazioni militari nella regione e una maggiore enfasi sul dialogo e sulla diplomazia. Tuttavia, una tale mossa potrebbe anche portare a un aumento dell’influenza di gruppi estremisti nella regione e a una maggiore instabilità politica e sociale, con il rischio di nuovi conflitti e violenze.

Inoltre, potrebbe anche aprire la strada a una maggiore autonomia palestinese nella regione, con la possibilità di negoziati per una soluzione politica al conflitto israelo-palestinese e per il riconoscimento internazionale dei diritti dei palestinesi. In sintesi, la perdita di Israele in un conflitto potrebbe portare a cambiamenti significativi nella mappa geopolitica della regione, con implicazioni durature per la sicurezza e la stabilità della regione.

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