Quindici anni dopo il sisma dell’Aquila del 2009, il processo di ricostruzione mostra progressi significativi, ma anche sfide persistenti. Sebbene il capoluogo abbia raggiunto un tasso di completamento del 75% per le opere private, la ricostruzione pubblica procede più lentamente, con una percentuale del 50%. Nei comuni del cratere, la situazione è simile o addirittura peggiore. Il ritorno delle persone nelle case ristrutturate rimane un nodo critico, con migliaia ancora in attesa di rientrare. Anche dopo tutti questi anni, la domanda che continua a risuonare nella nostra mente è: sarebbe potuta andare diversamente?
Un passato alternativo
La tecnologia sismica, se adottata in modo accurato, può rivelarsi un formidabile scudo contro il terremoto. Un’ipotetica rete di sensori ad alta definizione posizionati lungo la faglia attiva avrebbe potuto individuare segnali premonitori, pulsazioni sotterranee di tensione, fornendo indicazioni vitali sulla possibile imminenza di un evento sismico di grande magnitudo. Se solo avessimo potuto contare su una tale rete operativa nel 2009, avremmo potuto emettere avvertimenti precoci, concedendo alla città il prezioso tempo per prepararsi e mitigare le potenziali perdite.
Immaginiamo una rete di sensori sismici densamente distribuiti, ciascuno equipaggiato con sismometri altamente sensibili e accelerometri avanzati, dispiegati lungo la faglia di Campotosto e nelle zone circostanti. Questi sensori sarebbero stati in grado di rilevare anche le più sottili oscillazioni del terreno, trasmettendo i dati in tempo reale a centri di elaborazione specializzati. Qui, sofisticati algoritmi avrebbero analizzato i dati, identificando pattern sismici e anomalie che potrebbero precedere un terremoto imminente.
L’assenza di una tale rete di monitoraggio nel 2009 si è dimostrata fatale. Se avessimo potuto contare su questi sensori allora, avremmo potuto cogliere i segnali premonitori che l’attività sismica stava crescendo in modo anomalo. Gli indicatori di tensione nella faglia sarebbero stati rilevati, avvertendo gli esperti e le autorità locali del pericolo imminente. Questa anticipazione avrebbe potuto innescare procedure di evacuazione tempestive e preparare la città per affrontare l’impatto devastante di un terremoto.
Una simile rete di monitoraggio non sarebbe stata solo un’utopia. Alcuni progetti pilota, come quello condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), hanno dimostrato l’efficacia di una simile infrastruttura di sorveglianza. Questi progetti, se implementati su vasta scala, avrebbero potuto fare la differenza nell’Aquila del 2009. La tecnologia era pronta, ma il tempo e le risorse necessarie per implementarla in modo efficace mancavano. Questo è il rimpianto che ancora pervade la comunità sismologica: la consapevolezza che la prevenzione era possibile, ma non è stata realizzata.
Tecniche di prevenzione avanzate
Nella nostra immaginazione di un diverso corso degli eventi nell’Aquila del 2009, avremmo potuto sperimentare un approccio più proattivo attraverso l’implementazione di tecniche di prevenzione avanzate. Queste strategie, basate su dati scientifici e pratiche concrete, avrebbero mirato a ridurre significativamente il rischio sismico e le conseguenze di un terremoto.
Una delle principali tecniche sarebbe stata il retrofitting sismico degli edifici esistenti. Considerando che l’Aquila è ricca di edifici storici, la maggior parte dei quali costruiti prima dell’introduzione delle norme antisismiche moderne, il loro miglioramento strutturale sarebbe stato cruciale. Basandoci su dati geologici e valutazioni sismiche dettagliate, sarebbero state identificate le aree più vulnerabili e gli edifici ad alto rischio. Attraverso l’utilizzo di tecnologie innovative come l’aggiunta di sistemi di dissipazione dell’energia sismica, l’iniezione di resine epossidiche per consolidare le strutture, e l’installazione di rinforzi strutturali come telai metallici o fibre di carbonio, sarebbe stato possibile aumentare la resistenza sismica degli edifici esistenti.
L’approccio di Tokyo
Per dare concretezza a questo approccio, possiamo considerare il progetto di retrofitting sismico della città di Tokyo, in Giappone, dove migliaia di edifici sono stati sottoposti a interventi di miglioramento strutturale negli anni successivi al terremoto del 1995. Questo progetto ha dimostrato che il retrofitting sismico può ridurre in modo significativo i danni e le perdite durante un terremoto, salvaguardando vite umane e preservando il patrimonio edilizio.
Oltre al retrofitting degli edifici, sarebbero state adottate misure di pianificazione urbana e territoriale mirate a ridurre il rischio sismico. Utilizzando dati geologici e modelli di simulazione sismica avanzati, sarebbero state identificate e classificate le aree a rischio sismico elevato. Sulla base di queste informazioni, sarebbero state implementate restrizioni alla costruzione in queste zone e introdotte normative più rigorose per garantire che le nuove costruzioni rispettino standard antisismici rigorosi.
Preparare la popolazione
Infine, la sensibilizzazione della popolazione e la formazione sulla preparazione al terremoto avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel ridurre le potenziali perdite umane e materiali. Utilizzando dati demografici e psicologici, sarebbero state sviluppate campagne educative e di sensibilizzazione mirate a informare la popolazione sull’importanza della preparazione al terremoto e a fornire istruzioni chiare su come agire durante un evento sismico.
Per esempio, possiamo considerare l’esperienza del Giappone, dove la popolazione è stata regolarmente istruita su come reagire durante un terremoto attraverso simulazioni e esercitazioni pubbliche. Queste iniziative hanno dimostrato di essere estremamente efficaci nel ridurre il panico e il caos durante un terremoto e nel garantire una risposta coordinata e organizzata da parte della comunità.
Basate su dati scientifici e pratiche concrete, queste strategie avrebbero potuto salvaguardare vite umane, preservare il patrimonio edilizio e ridurre le conseguenze devastanti di un terremoto.
Politiche di pianificazione urbana e gestione del rischio
Nel contesto di un’immaginaria rivisitazione degli eventi dell’Aquila del 2009, l’implementazione di politiche di pianificazione urbana e gestione del rischio più dettagliate e concrete avrebbe potuto essere decisiva nel mitigare gli impatti di un terremoto.
Un pilastro fondamentale di queste politiche sarebbe stato l’adozione di normative edilizie rigorose, basate su dati scientifici accurati e modelli di simulazione sismica avanzati. Tali normative avrebbero imposto requisiti stringenti per la progettazione e la costruzione di nuovi edifici, enfatizzando l’importanza di criteri antisismici e materiali resistenti. Ad esempio, considerando dati di resistenza dei materiali e informazioni geologiche specifiche, sarebbero state stabilite zone di rischio sismico e applicate restrizioni alla tipologia di costruzioni ammesse, garantendo che solo edifici in grado di resistere a scosse sismiche fossero autorizzati nelle zone più esposte.
In aggiunta, sarebbe stato fondamentale sviluppare una mappa del rischio sismico dettagliata, basata su dati geologici, sismologici e geotecnici accurati. Questa mappa avrebbe identificato le zone più vulnerabili all’interno del territorio aquilano e avrebbe guidato la pianificazione territoriale, indicando dove concentrare gli sforzi di mitigazione del rischio e definire normative specifiche. Utilizzando dati di deformazione del suolo, di accelerazione sismica e di vulnerabilità delle strutture, sarebbero state stimate le potenziali perdite economiche e umane in caso di terremoto, fornendo una base solida per la definizione di politiche mirate e interventi prioritari.
Un esempio tangibile di questo approccio è rappresentato dal Piano di Emergenza Sismica di Istanbul, in Turchia, che ha utilizzato dati sismologici e geotecnici dettagliati per sviluppare mappe del rischio sismico e pianificare interventi di mitigazione del rischio su vasta scala. Questo piano ha permesso di identificare le aree più critiche della città e di adottare politiche mirate per ridurre il rischio sismico e preparare la popolazione a fronteggiare un eventuale terremoto.
Inoltre, sarebbero state introdotte politiche di incentivazione economica per promuovere il retrofitting sismico degli edifici esistenti. Queste politiche avrebbero offerto incentivi finanziari, come sgravi fiscali o finanziamenti agevolati, per incoraggiare i proprietari di edifici a investire nella sicurezza sismica delle loro proprietà. Utilizzando dati sul costo-beneficio delle misure di retrofitting sismico e sull’impatto potenziale di un terremoto sulle comunità, sarebbero state valutate e implementate politiche economiche efficaci per incentivare gli interventi di miglioramento strutturale.
Questa è la triste ma imperitura speranza che risiede nel cuore dell’Aquila del 2009: un monito e una promessa di un domani migliore, dove la tragedia si trasforma in forza e la memoria delle perdite ci spinge a costruire una società più attenta e sicura.