Continua il filone di studi che punta a mettere nero su bianco l’impatto benefico della dieta mediterranea sulla salute umana. L’ultima ricerca in ordine di tempo ad approfondire le qualità protettive del regime alimentare ‘vecchia conoscenza’ degli italiani e delle popolazioni di questa area del mondo è un lavoro pubblicato su ‘Jama Network Open’, che si concentra sull’universo femminile. Secondo gli autori, “una maggiore aderenza alla dieta mediterranea si associa a una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 23%“ nelle donne.
Condotto negli USA, questo studio di coorte si basa su una popolazione di 25.315 partecipanti del Women’s Health Study, donne sane alla partenza dello studio – età media al basale di 54,6 anni – che avevano fornito campioni di sangue, misurazioni di biomarcatori e informazioni sulla dieta. I dati di base includevano dati demografici e un questionario validato sulla frequenza alimentare. Il periodo di raccolta dei dati è andato da aprile 1993 a gennaio 1996 e l’analisi dei dati ha avuto luogo da giugno 2018 a novembre 2023. Le donne sono state seguite per 25 anni. Il punteggio della dieta mediterranea è stato calcolato sulla base di 9 componenti dietetiche.
L’analisi degli scienziati – esperti di diverse istituzioni, dal Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School, all’Harvard TH Chan School of Public Health, a Boston, fino alle università di Uppsala in Svezia e l’Eth di Zurigo – si è concentrata su 33 biomarcatori ematici, (come valori di lipidi, infiammazione, resistenza all’insulina e metabolismo, e così via). La mortalità e le cause della morte sono state determinate dalla documentazione medica e dalla documentazione di morte. Nel corso del follow-up si sono verificati 3.879 decessi.
Rispetto alla bassa aderenza alla dieta mediterranea (punteggio 0-3), sono state osservate riduzioni del rischio di mortalità in chi aveva punteggi più elevati e quindi seguiva maggiormente i principi di questo regime alimentare. Una volta operati ulteriori aggiustamenti per fattori legati allo stile di vita, queste riduzioni sono rimaste statisticamente significative. I biomarcatori infiammatori erano fra quelli che hanno contribuito maggiormente al minor rischio di mortalità, seguiti dalle lipoproteine ricche in trigliceridi e dall’indice di massa corporea e resistenza all’insulina. L’associazione inversa tra maggiore aderenza alla dieta e minor rischio di mortalità (rischio che si riduce di un quinto) è stata dunque parzialmente spiegata da molteplici fattori cardiometabolici.