La siccità ha bruciato in Italia un campo di grano su 5, con un crollo atteso della produzione nazionale di grano almeno del 20% per effetto della mancanza di pioggia e del caldo torrido che hanno colpito le campagne del Sud Italia, a partire dalla Puglia e della Sicilia, dove si produce quasi la metà del totale nazionale di frumento duro. E anche al Nord le prime trebbiature sul grano danno una fotografia allarmante in termini quantitativi con cali dell’ordine del 20% ma ottimi segnali dal punto di vista qualitativo: è quanto emerge dall’analisi Coldiretti su dati Cai – Consorzi Agrari d’Italia diffusa in occasione del via alla mietitura.
I primi risultati che vengono dall’avvio delle operazioni di raccolta stanno confermando le previsioni negative delle scorse settimane, con punte di calo del 40/50% per il grano duro al Sud Italia dove si sentono i drammatici effetti della siccità, a partire dai due “granai d’Italia”. In Puglia si registrano rese per ettaro praticamente dimezzate, mentre in Sicilia molte aziende hanno addirittura rinunciato a raccogliere, mentre in alcune zone la produzione è stata letteralmente azzerata, facendo prevedere un crollo della produzione nazionale intorno ai 3 miliardi di chili, la più bassa degli ultimi 15 anni. L’unica notizia positiva arriva dalla qualità, mediamente buona-ottima. Un trend che aggrava il calo delle semine già registrato a inizio campagna sulla spinta del crollo dei prezzi pagati agli agricoltori causato dall’invasione di prodotto straniero, con le superfici del grano duro scese sotto gli 1,2 milioni ettari (mai così basse negli ultimi 6 anni) e punte del 17% nel centro Italia e di oltre l’11% nel sud e nelle isole rispetto all’anno precedente, secondo l’analisi di Coldiretti.
“Agli effetti dei cambiamenti climatici si sono, infatti, sommati quelli della concorrenza sleale,” prosegue Coldiretti. “Dopo un 2023 che ha visto una vera e propria invasione di cereali turchi e russi, nei primi tre mesi del 2024 hanno varcato i confini nazionali oltre 2,1 miliardi di chili tra grano duro e tenero, in aumento del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con i maggiori incrementi che si registrano per gli arrivi da Turchia, Kazakhistan e Ucraina. Arrivi che si sono moltiplicati proprio in concomitanza della fase di raccolta del grano italiano e dell’avvio della nuova campagna di commercializzazione“. Nonostante le previsioni negative sulla raccolta, “la prima quotazione registrata alla borsa merci di Foggia è stato quotato ben 13 euro alla tonnellata in meno rispetto all’ultima quotazione della mietitura 2023, una cifra drammaticamente sotto i costi di produzione. La Turchia, in particolare, potrebbe disporre quest’anno di una considerevole quantità di grano per le esportazioni. Un fiume di prodotto destinato a essere trasformato in pasta italiana ma anche in pane e biscotti, sui quali peraltro non vige alcun obbligo di indicazione dell’etichetta d’origine“.
“Nella coltivazione del grano turco vengono peraltro usate – denuncia Coldiretti – sostanze da anni vietate in Europa, dal Carbendazim, un fungicida sospettato di avere effetti cancerogeni, al Malathion un altro fungicida tossico per le api, dal Cyflutrin, insetticida anch’esso cancerogeno, al Glifosato, l’essiccante vietato in Italia in pre raccolta e usato anche sul grano canadese e su quello russo, che viene prodotto utilizzando un’altra sostanza non permessa nella Ue, l’erbicida Fenoxaprop P ethyl. Il grano ucraino viene, invece prodotto usando il Chlorothalonil, un fungicida sospetto cancerogeno“.
“Assieme alla salute dei consumatori in pericolo c’è il futuro di circa duecentomila aziende agricole impegnate a coltivare il grano in Italia che – continua la Coldiretti – è prima in Europa e seconda nel mondo nella produzione di grano duro destinato alla pasta“.
“Sulle importazioni dall’estero occorre far rispettare il principio di reciprocità poiché non è possibile tollerare l’invasione di grano trattato con sostanze che da noi sono vietate da decenni – denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – Ma occorre anche ridurre la dipendenza dall’estero promuovendo lo strumento degli accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. Contro gli effetti dei cambiamenti climatici serve poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni, accelerando l’impiego delle nuove tecniche di evoluzione assistita (Tea), realizzando bacini di accumulo delle acque piovane, ma anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni”.