Sotto la chioma, la catastrofe: il degrado silenzioso erode le foreste pluviali

L'abbattimento selettivo di alberi ad alto fusto crea delle vere e proprie "finestre" nella chioma forestale
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Le foreste pluviali tropicali, polmoni verdi del nostro pianeta, si ergono come maestose cattedrali naturali, custodi di una biodiversità senza eguali e di un ruolo vitale nel ciclo del carbonio. Ricoprono circa il 30% della superficie terrestre e ospitano oltre la metà delle specie vegetali e animali conosciute. La loro rigogliosa vegetazione, caratterizzata da una fitta chioma di alberi alti decine di metri, crea un microclima unico, favorendo la circolazione dell’umidità e rilasciando nell’atmosfera ossigeno puro.

Tuttavia, al di là della loro immagine di incontaminata bellezza, si nasconde una realtà allarmante: il degrado silenzioso e progressivo che le sta consumando dall’interno. Questa minaccia subdola, spesso sottovalutata rispetto alla deforestazione su larga scala, rappresenta un pericolo imminente per la salute del pianeta e per il benessere dell’umanità intera.

Disboscamento selettivo, incendi devastanti e l’espansione incontrollata di attività umane come l’agricoltura e la costruzione di strade rappresentano solo alcuni dei molteplici fattori che stanno frammentando, impoverendo e alterando irrimediabilmente questi ecosistemi complessi. Le conseguenze di questa devastazione silenziosa sono ben lungi dall’essere effimere, ma si traducono in una perdita incalcolabile di biodiversità, nel rilascio di enormi quantità di carbonio nell’atmosfera e nella compromissione di servizi ecosistemici essenziali per la vita sulla Terra.

Un’indagine approfondita: quantificare l’entità del degrado

Per troppo tempo, la vera portata del degrado che colpisce le foreste pluviali tropicali è rimasta nell’ombra. La deforestazione, con la sua drammatica immagine di intere distese di alberi abbattuti, ha spesso monopolizzato l’attenzione, lasciando in secondo piano le ferite silenziose inflitte da altre forme di degrado.

Un nuovo studio condotto da un team di ricercatori internazionali, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, ha finalmente gettato nuova luce su questa realtà preoccupante. Combinando dati di telerilevamento satellitare con sofisticate tecnologie di analisi spaziale, gli scienziati hanno stimato che la deforestazione non rappresenta l’unica minaccia per questi ecosistemi. Il quadro emerso è sconvolgente e richiede un’urgente presa di coscienza da parte della comunità internazionale.

Il disboscamento selettivo: una ferita profonda

Il disboscamento selettivo, pratica diffusa per l’estrazione di legnami pregiati come mogano, teak e palissandro, rappresenta una ferita profonda inferta alle foreste pluviali tropicali. Questa pratica, seppur apparentemente meno drammatica della deforestazione su larga scala, provoca un degrado significativo della struttura e della funzionalità dell’ecosistema.

L’abbattimento selettivo di alberi ad alto fusto crea delle vere e proprie “finestre” nella chioma forestale, permettendo alla luce solare di penetrare nel sottobosco e alterando il delicato equilibrio ecologico. Questo sconvolgimento ha conseguenze devastanti sulla biodiversità, riducendo l’habitat di innumerevoli specie vegetali e animali che dipendono dalla complessa struttura della foresta pluviale per sopravvivere.

Inoltre, il disboscamento selettivo compromette la capacità di stoccaggio del carbonio da parte delle foreste. Gli alberi, infatti, fungono da veri e propri serbatoi di carbonio, assorbendolo dall’atmosfera e immagazzinandolo nel loro legno e nel terreno circostante. L’abbattimento di questi alberi libera nell’atmosfera il carbonio accumulato nel tempo, contribuendo all’intensificarsi dell’effetto serra e al cambiamento climatico.

Lo studio rivela che il disboscamento selettivo provoca una significativa riduzione dell’altezza della chioma forestale, con una perdita stimata del 15%. Questa ferita profonda compromette la capacità di fotosintesi della foresta, riducendo la produzione di ossigeno e alterando il ciclo del carbonio.

Incendi: cicatrici indelebili sulla foresta

Gli incendi, sia di origine naturale che antropica, rappresentano un’altra grave minaccia per le foreste pluviali tropicali. La furia distruttiva del fuoco si abbatte sulla foresta come un uragano di fiamme, consumando tutto ciò che incontra sul suo cammino. Alberi secolari vengono ridotti in cenere in pochi istanti, la fauna selvatica fugge terrorizzata e l’aria si riempie di fumo acre e tossico.

I danni provocati dagli incendi sono spesso irreversibili. Le alte temperature del fuoco distruggono il suolo fertile, impoverendolo di nutrienti essenziali per la crescita delle piante. La chioma degli alberi, bruciata e carbonizzata, non è più in grado di svolgere la sua funzione di fotosintesi, contribuendo all’aumento della CO2 atmosferica.

Lo studio rivela che gli incendi causano una perdita devastante dell’altezza della chioma forestale, con una stima del 50%. Questo collasso della struttura forestale crea un ambiente inospitale per la rigenerazione naturale, ostacolando la ricostituzione dell’ecosistema e lasciando dietro di sé immense aree desolate.

Le cicatrici degli incendi persistono nel tempo, ricordandoci la fragilità di questi ecosistemi complessi. Le aree colpite dal fuoco impiegano decenni, se non secoli, per riprendersi completamente, e spesso non riescono a raggiungere il loro pieno splendore originario.

Effetti di bordo: l’invasione silenziosa dell’uomo

L’espansione incontrollata di attività umane come l’agricoltura e la costruzione di strade, oltre a causare la deforestazione diretta, innesca un fenomeno noto come “effetto di bordo“. L’avvicinamento di queste attività al limite della foresta crea un ambiente alterato, caratterizzato da una drastica riduzione della biodiversità e da una significativa perdita di funzionalità ecologica.

Il rumore assordante delle macchine, l’inquinamento atmosferico e l’invasione di specie aliene disturbano l’equilibrio naturale della foresta, spingendo via le specie più sensibili e favorendo la proliferazione di opportunisti meno esigenti. Il suolo viene compattato e impoverito, mentre l’acqua viene deviata o inquinata.

Lo studio rivela che gli effetti di bordo interessano un’area sconvolgente: il 18% (circa 206 milioni di ettari) delle foreste pluviali tropicali residue. Si tratta di un’estensione superiore del 200% rispetto alle stime precedenti, evidenziando l’impatto preoccupante e sottovalutato di questo fenomeno.

L’effetto di bordo si estende per chilometri all’interno della foresta, raggiungendo fino a 1,5 km di distanza dal bordo. Questa zona di degrado, spesso invisibile agli occhi non esperti, rappresenta una ferita silenziosa che compromette la salute e la resilienza dell’intero ecosistema.

Un circolo vizioso: degrado e vulnerabilità

Le foreste già degradate, con una perdita di copertura arborea superiore al 50%, si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità. La loro struttura compromessa e la ridotta capacità di rigenerazione le rendono facili bersagli per la successiva deforestazione. I disboscatori illegali e gli speculatori fondiari vedono in queste aree un’opportunità per sfruttare le risorse residue, innescando un circolo vizioso di degrado e distruzione.

Lo studio rivela che le foreste degradate hanno un rischio di deforestazione fino a quattro volte maggiore rispetto alle foreste intatte. Questa preoccupante realtà evidenzia l’urgente necessità di intervenire per proteggere e restaurare le aree già danneggiate, prevenendo la loro ulteriore perdita e preservando i frammenti di foresta pluviale che ancora resistono.

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