Un nuovo studio condotto da un team internazionale di scienziati sta rivoluzionando la nostra comprensione dell’oceano Atlantico durante l’Ultimo Massimo Glaciale (LGM), che si è verificato circa 20.000 anni fa. Le scoperte fatte da Jack H. Wharton, Martin Renoult, Geoffrey Gebbie, Lloyd D. Keigwin, Thomas M. Marchitto, Mark A. Maslin, Delia W. Oppo e David J. R. Thornalley rivelano che il vortice subtropicale (STG), una delle strutture oceaniche più cruciali e influenti, era significativamente più profondo e potente rispetto a come lo conosciamo oggi. Queste nuove evidenze gettano una luce sorprendente sulle dinamiche oceaniche del passato, suggerendo che le condizioni durante l’LGM erano drasticamente diverse da quelle che possiamo osservare oggi, influenzando profondamente la circolazione delle correnti oceaniche e il clima terrestre in modi che non erano stati completamente compresi fino ad ora.
Il Vortice Subtropicale
La dinamica del vortice subtropicale (STG) è un tema di grande importanza per gli oceanografi e i climatologi di tutto il mondo. Lo STG è un vasto sistema di correnti oceaniche circolari che domina l’Atlantico settentrionale, giocando un ruolo fondamentale nella regolazione del clima e nella distribuzione del calore e dei nutrienti nelle acque oceaniche.
La sua profondità e forza sono influenzate principalmente dalla curvatura dello stress del vento e dal rafforzamento della galleggiabilità superficiale, due fattori che determinano il movimento e la densità delle masse d’acqua oceaniche. Lo stress del vento, in particolare, crea movimento nelle acque superficiali attraverso l’interazione con l’atmosfera, mentre la galleggiabilità, che dipende dalla temperatura e dalla salinità dell’acqua, regola la densità e la circolazione delle masse d’acqua.
Il Vortice Subtropicale durante l’Ultimo Massimo Glaciale
Contrariamente alle previsioni di studi precedenti, che suggerivano un cambiamento minimo nella profondità del vortice subtropicale durante l’Ultimo Massimo Glaciale, questo nuovo studio rivela un quadro sorprendentemente diverso e più complesso. I ricercatori hanno scoperto un netto confine della massa d’acqua glaciale situato tra 33° N e 36° N, che si estende fino a una profondità compresa tra 2,0 e 2,5 km, ovvero circa 1 km più profonda rispetto alle condizioni attuali. Le prove di questa scoperta rivoluzionaria provengono dai profili di δ18O dei foraminiferi bentonici, piccoli organismi marini i cui gusci conservano un record delle condizioni ambientali passate, ottenuti da carote di sedimento in due sezioni di profondità: una a Cape Hatteras (36-39° N) e l’altra a Blake Outer Ridge (29-34° N) nell’Atlantico nord-occidentale.
Questi microfossili, sensibili alle variazioni di temperatura e salinità dell’acqua, offrono una finestra unica e preziosa sulle condizioni oceaniche passate, permettendo agli scienziati di ricostruire con grande precisione le dinamiche dell’oceano durante l’LGM. Questi nuovi dati suggeriscono che le correnti oceaniche e le strutture come lo STG erano significativamente più potenti e influenti durante l’Ultimo Massimo Glaciale rispetto a quanto si pensasse in precedenza.
Pattern atmosferici e correnti oceaniche
Ma cosa ha reso lo STG così profondo e forte durante l’Ultimo Massimo Glaciale? I ricercatori attribuiscono questo fenomeno a una combinazione di diversi fattori interconnessi che hanno lavorato in sinergia per potenziare il vortice.
In primo luogo, un aumento della curvatura dello stress del vento glaciale ha giocato un ruolo cruciale, come supportato dalle simulazioni dei modelli climatici che mostrano come le masse di ghiaccio influenzavano significativamente i modelli di vento. Durante l’LGM, le enormi calotte di ghiaccio che coprivano vaste aree del Nord America e dell’Europa settentrionale modificavano i pattern atmosferici, generando venti più forti e persistenti che a loro volta potenziavano le correnti oceaniche.
Questo aumento dello stress del vento non solo accelerava le correnti superficiali, ma creava anche un movimento discendente dell’acqua, spingendo lo STG a profondità maggiori rispetto a quelle attuali.
Inoltre, una maggiore produzione di acque subtropicali più dense (STMWs) ha contribuito alla profondità e alla forza dello STG. Queste acque, formatesi in condizioni glaciali caratterizzate da temperature più basse e una maggiore salinità, aumentarono la massa e l’energia del vortice, rendendolo un colosso oceanico durante quel periodo. La combinazione di questi fattori ha creato un STG che era non solo più profondo, ma anche significativamente più forte, influenzando la circolazione oceanica a livello globale.
Le condizioni estreme dell’Ultimo Massimo Glaciale
Questi risultati hanno profonde implicazioni per la nostra comprensione della circolazione oceanica e del clima durante l’Ultimo Massimo Glaciale, offrendo nuove prospettive su come le condizioni estreme di quel periodo abbiano modellato le dinamiche oceaniche. Il maggiore spessore e la forza dello STG suggeriscono che le acque subtropicali probabilmente contribuirono in modo significativo alla firma geochimica di ciò che oggi identifichiamo come Glacial North Atlantic Intermediate Water (GNAIW).
Questa nuova comprensione implica che le acque subtropicali non solo raggiunsero profondità maggiori, ma interagirono anche con altre masse d’acqua, influenzando la circolazione termoalina, il motore principale della distribuzione globale del calore oceanico. Inoltre, lo STG potenziato avrebbe sostenuto una continua perdita di galleggiabilità, favorendo la conversione della massa d’acqua e il trasporto di calore meridionale verso nord (MHT) nell’Atlantico del Nord glaciale. Questo processo è fondamentale per il bilancio energetico del pianeta e per la regolazione delle temperature globali, poiché il trasporto di calore verso le regioni polari contribuisce a mantenere stabili le temperature globali e a prevenire variazioni climatiche estreme.