Le lamprede di mare, uno dei due soli vertebrati privi di mascella, stanno causando problemi significativi nelle attività di pesca del Midwest. Tuttavia, questi affascinanti esseri marini stanno anche offrendo agli scienziati nuove intuizioni cruciali sull’evoluzione dei vertebrati. Uno studio recente, condotto dai biologi della Northwestern University e pubblicato su Nature Ecology & Evolution, ha rivelato importanti scoperte sulle origini di due tipi di cellule staminali essenziali.
Scoperte sulle cellule staminali
Gli scienziati hanno individuato il momento in cui la rete di geni che regola queste cellule staminali potrebbe essersi evoluta. Questo studio ha confrontato i geni delle lamprede con quelli dello Xenopus, una rana acquatica con mascella, utilizzando la trascrittomica comparativa. I risultati hanno mostrato una sorprendente somiglianza nella rete di geni della pluripotenza tra vertebrati con e senza mascella. Tuttavia, è emersa una differenza cruciale: mentre le cellule della blastula di entrambe le specie esprimono il gene pou5, un regolatore chiave delle cellule staminali, nelle lamprede questo gene non è espresso nelle cellule staminali della cresta neurale.
L’evoluzione dei vertebrati
La perdita di pou5 nelle lamprede potrebbe aver limitato la capacità delle cellule della cresta neurale di formare i tipi di cellule che si trovano nei vertebrati con mascella, inclusi i componenti dello scheletro della testa e della mascella. Confrontando la biologia dei vertebrati senza mascella e di quelli con mascella, i ricercatori possono comprendere l’origine evolutiva delle caratteristiche che definiscono i vertebrati, compreso l’uomo. “Le lamprede potrebbero avere la chiave per capire da dove veniamo“, ha dichiarato Carole LaBonne, la ricercatrice che ha guidato lo studio. LaBonne ha sottolineato l’importanza di guardare alle versioni più primitive dei vertebrati per comprendere l’origine evolutiva delle caratteristiche che definiscono questo gruppo, inclusi gli esseri umani.
L’origine delle cellule della cresta neurale
Il team di LaBonne ha precedentemente dimostrato che l’origine evolutiva delle cellule della cresta neurale è legata al mantenimento della rete di regolazione genica che controlla la pluripotenza nelle cellule staminali della blastula. Nel nuovo studio, hanno esplorato ulteriormente questi legami evolutivi. “Le cellule staminali della cresta neurale sono come un set di Lego evolutivo”, ha spiegato LaBonne. Queste cellule possono trasformarsi in vari tipi di cellule, inclusi neuroni e muscoli, ma condividono un’origine comune nella cresta neurale.
Un antico legame evolutivo
Gli esperimenti hanno rivelato una rete di pluripotenza intatta nelle cellule della blastula delle lamprede, suggerendo che le popolazioni di cellule staminali della blastula e della cresta neurale nei vertebrati con e senza mascella si sono coevolute. “Vi sono più somiglianze che differenze tra la lampreda e lo Xenopus“, ha osservato Joshua York, primo autore dello studio. L’espressione di pou5 nelle rane ha dimostrato che questo gene fa parte di una rete di pluripotenza antica, presente nei primi antenati vertebrati. York ha evidenziato che l’espressione di questo gene, sebbene assente nella cresta neurale delle lamprede, è in grado di promuovere la formazione della cresta neurale quando espresso nelle rane. Questo suggerisce che il gene pou5 faccia parte di un’antica rete di pluripotenza risalente ai primi vertebrati.
L’esperimento ha anche permesso di ipotizzare che il gene sia stato perso specificamente in alcune creature e non sia stato sviluppato successivamente dai vertebrati dotati di mascella. Questa scoperta è fondamentale per comprendere i vincoli evolutivi che hanno modellato la diversificazione dei vertebrati. “Un’altra scoperta notevole dello studio è che, anche se questi animali sono separati da 500 milioni di anni di evoluzione, ci sono vincoli stringenti sui livelli di espressione dei geni necessari per promuovere la pluripotenza“, ha notato York. Questa osservazione sottolinea l’importanza di esplorare i meccanismi che hanno mantenuto questi vincoli nel corso dell’evoluzione. “Ora resta solo da scoprirne il perché“, ha concluso LaBonne.