La qualità dell’acqua dolce, risorsa essenziale per la vita sul Pianeta, sta peggiorando, ma a causa della mancanza di dati non è possibile stabilire fino a che punto. A scattare questa fotografia è un report delle Nazioni Unite, che denuncia al contempo la scarsità di dati provenienti dai Paesi a medio e basso reddito. Sebbene questi ultimi ospitino 3,7 miliardi di persone, contribuiscono con appena il 3% complessivo dei dati relativi alle fonti d’acqua dolce.
Un danno grave non solo perché inficia il quadro globale, ma mette a rischio le future generazioni: a causa dei “bassi livelli di monitoraggio”, informa l’Onu, “entro il 2030, più della metà dell’umanità vivrà in Paesi che non dispongono di dati sufficienti per prendere decisioni informate” sulla gestione dell’acqua, relativamente a temi tra cui la lotta a siccità, inondazioni, impatti sugli effluenti delle acque reflue e sull’agricoltura.
Stando ai dati disponibili, emerge che nel 50% dei Paesi c’è un problema di degrado degli ecosistemi d’acqua dolce, inclusi i fiumi, i laghi e le falde acquifere. In particolare, lo studio segnala “una riduzione della portata dei fiumi e delle acque superficiali, un aumento dell’inquinamento e una gestione delle acque di scarsa qualità, soprattutto in Africa, Asia centrale e sud-orientale“. Pertanto, oltre a politiche volte a tutelare l’ambiente e scongiurare l’inquinamento, il rapporto suggerisce ai governi di investire fondi sostanziosi per programmi di monitoraggio delle proprie risorse idriche, in modo da poter contare sul lungo periodo su una quantità maggiori di dati, variegati e affidabili.