Stonehenge: le pietre dell’altare potrebbero provenire dalla Scozia

Nello specifico, i ricercatori hanno esaminato i grani di zirconi, apatite e rutili presenti all'interno dei frammenti della pietra
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    Credit: Professor Nick Pearce, Aberystwyth University
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    Credit: Professor Richard Bevins, Aberystwyth University
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Stonehenge, uno dei monumenti preistorici più iconici al mondo, continua a sorprendere la comunità scientifica con nuove scoperte. Una recente analisi pubblicata su Nature suggerisce che l’Altare Stone, uno dei più grandi megaliti presenti nel sito, potrebbe avere origini nel nord-est della Scozia. Questa scoperta non solo getta nuova luce sull’origine delle pietre che compongono Stonehenge, ma offre anche interessanti spunti sulla complessità e l’organizzazione della società neolitica britannica.

Le Pietre di Stonehenge

La struttura monumentale di Stonehenge è composta principalmente da due tipi di pietra distinti, ognuno dei quali contribuisce in modo fondamentale alla sua complessità architettonica e al suo mistero millenario. I sarsens, enormi massi di arenaria, costituiscono la parte più imponente e visibile della struttura, con alcune di queste pietre che superano i venti tonnellate di peso. Questi massi sono stati tracciati fino ai West Woods, un’area situata vicino a Marlborough, a circa 25 chilometri di distanza dal sito di Stonehenge, il che già di per sé rappresenta un’impresa notevole per una società priva di mezzi di trasporto avanzati come quelli che conosciamo oggi.

Tuttavia, è l’origine delle cosiddette pietre blu, più piccole ma altrettanto significative dal punto di vista rituale e simbolico, a sollevare le questioni più intriganti. Queste pietre, che includono l’Altare Stone, la pietra più grande tra le pietre blu, hanno sempre rappresentato un enigma per gli studiosi, poiché la loro origine esatta è rimasta avvolta nel mistero. Le ricerche precedenti, condotte attraverso tecniche di tracciamento e analisi geochimiche, avevano già escluso la possibilità che queste pietre provenissero dall’Inghilterra meridionale o dal Galles, ma non erano state in grado di fornire dettagli sufficienti per identificare la loro fonte precisa.

La nuova ricerca guidata da Anthony Clarke e colleghi, grazie all’utilizzo di tecniche più avanzate e di campioni più rappresentativi, ha aperto una nuova strada verso la comprensione di questo antico mistero, suggerendo che l’Altare Stone potrebbe avere un’origine molto più distante di quanto si fosse immaginato in precedenza, gettando nuova luce su come queste pietre siano state trasportate attraverso distanze incredibili e su cosa ciò possa significare per la comprensione delle reti sociali e delle capacità organizzative delle comunità neolitiche.

Un’analisi minerale rivoluzionaria

Il team di ricerca guidato da Anthony Clarke, composto da geologi, archeologi e chimici, ha intrapreso un’analisi dettagliata e innovativa dei frammenti dell’Altare Stone, utilizzando tecniche all’avanguardia per studiare la composizione mineralogica e geochimica di questa pietra enigmatica.

Nello specifico, i ricercatori hanno esaminato i grani di zirconi, apatite e rutili presenti all’interno dei frammenti della pietra, cercando di determinare non solo l’età di questi minerali, ma anche la loro provenienza geologica, al fine di tracciare un possibile percorso che possa spiegare come una pietra di tale importanza sia giunta fino a Stonehenge. I risultati dell’analisi hanno rivelato una storia geologica complessa e affascinante che si estende su miliardi di anni, collegando la formazione di questi minerali a eventi geologici risalenti a epoche remote della storia terrestre.

I grani di zircone, ad esempio, sono risultati essere in gran parte di origine mesoproterozoica, risalenti a un periodo compreso tra 1.600 e 1.000 milioni di anni fa, con alcune tracce che indicano origini ancora più antiche, risalenti all’Archeano, un’epoca che si estende da circa 4 a 2,5 miliardi di anni fa. Questi risultati indicano che la pietra contiene componenti che si sono formati durante alcuni dei periodi più antichi della storia del nostro pianeta, suggerendo un’origine geologica complessa e stratificata. Al contempo, l’analisi dei minerali di apatite e rutilo ha rivelato che questi componenti si sono formati durante l’Ordoviciano medio, un’epoca geologica compresa tra circa 470 e 458 milioni di anni fa, che rappresenta un periodo molto più recente rispetto agli zirconi, ma comunque estremamente antico.

Questo mix di età geologiche diverse ha portato il team a confrontare i dati raccolti con i depositi sedimentari presenti in diverse aree della Gran Bretagna e dell’Irlanda, nel tentativo di identificare una corrispondenza precisa che potesse rivelare l’origine della pietra. Sorprendentemente, è emersa una forte somiglianza con l’Old Red Sandstone del bacino Orcadian, situato nel nord-est della Scozia, una regione che durante il periodo neolitico era caratterizzata da un paesaggio aspro e complesso, ma che poteva essere collegata al sud della Gran Bretagna attraverso rotte marittime che erano probabilmente utilizzate per il commercio e lo scambio di beni e idee.

La Scozia Nordorientale: culla della Pietra dell’Altare?

L’identificazione dell’Old Red Sandstone del bacino Orcadian come possibile origine dell’Altare Stone di Stonehenge ha aperto nuove prospettive sulla portata e la complessità delle connessioni tra le varie regioni della Gran Bretagna durante il Neolitico, rivelando un quadro di interazioni culturali e tecnologiche molto più vasto e articolato di quanto si fosse immaginato in precedenza.

Se questa ipotesi fosse confermata, significherebbe che la pietra, uno degli elementi chiave del complesso di Stonehenge, è stata estratta a circa 750 chilometri dal suo posizionamento finale, un’impresa che, considerando le tecnologie e le risorse disponibili durante l’epoca neolitica, appare straordinaria e testimonierebbe un livello di organizzazione e cooperazione tra le comunità neolitiche britanniche molto più avanzato di quanto ritenuto finora. Un viaggio di tale lunghezza, in un’epoca in cui il trasporto terrestre era limitato dalle difficili condizioni geografiche, dalle barriere naturali e dalla fitta copertura forestale che caratterizzava gran parte della Gran Bretagna, avrebbe rappresentato una sfida logistica e tecnica enorme, che avrebbe richiesto non solo una grande abilità nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle risorse, ma anche una conoscenza avanzata delle rotte e delle tecniche di navigazione marittima.

Gli autori dello studio propongono infatti che la pietra possa essere stata trasportata lungo una rotta marittima, che avrebbe collegato la Scozia nordorientale alla Gran Bretagna meridionale, utilizzando probabilmente imbarcazioni capaci di affrontare le difficoltà del mare del Nord e del Canale della Manica, dimostrando così che le comunità neolitiche non erano isolate o primitive, ma al contrario, possedevano una rete di contatti e scambi che si estendeva su distanze notevoli e che implicava un livello di sofisticazione culturale e tecnologica che solo recentemente stiamo iniziando a comprendere appieno.

Questa ipotesi non solo rende conto delle difficoltà logistiche di un trasporto terrestre attraverso la Gran Bretagna, ma evidenzia anche il ruolo cruciale delle vie marittime come arterie principali per il commercio, lo scambio culturale e la diffusione delle idee nell’epoca neolitica, suggerendo che le coste britanniche erano collegate in una rete di comunicazioni che attraversava l’intero arcipelago e che Stonehenge potrebbe essere stato un punto focale in questa rete, un luogo non solo di culto e ritualità, ma anche di incontro e scambio tra diverse culture e comunità.

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