Il recente terremoto di magnitudo 7 che ha scosso la penisola di Kamchatka ha stimolato un ampio dibattito, non solo tra gli esperti del settore sismologico, ma anche tra i curiosi e coloro che, pur non avendo una preparazione tecnica specifica, sono rimasti sorpresi dall’assenza di uno tsunami, anche di dimensioni modeste. Questo evento sismico ha riacceso l’interesse per i fenomeni naturali estremi, riportando alla memoria eventi storici come il devastante terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, che, pur avendo avuto una magnitudo simile, ha causato uno degli tsunami più distruttivi nella storia italiana, e quello più recente che ha colpito l’isola greca di Samos nel 2020.
Entrambi questi eventi, seppur avvenuti in contesti geologici diversi, hanno sollevato domande sulla correlazione tra la magnitudo di un terremoto e la probabilità che esso inneschi uno tsunami. In questo contesto, la domanda centrale che emerge è: perché il terremoto in Kamchatka, pur avendo una magnitudo significativa, non ha causato un’onda anomala?
La profondità del terremoto
La profondità alla quale si verifica un terremoto, un parametro che spesso non riceve l’attenzione che merita nel discorso pubblico, gioca un ruolo determinante nella capacità di un sisma di generare uno tsunami. Nel caso specifico del terremoto di Kamchatka, la profondità del terremoto non si limita all’ipocentro, ovvero al punto all’interno della crosta terrestre dove ha avuto origine il terremoto, ma coinvolge anche la porzione della faglia che si è attivata durante l’evento sismico.
È qui che entra in gioco la complessità del fenomeno: mentre l’ipocentro può trovarsi a una certa profondità, è il movimento della faglia e la sua estensione verso la superficie che determinano se l’energia rilasciata sarà sufficiente a deformare il fondo marino, creando così le condizioni per un maremoto.
Nel caso di Kamchatka, i dati sismologici raccolti, in particolare quelli forniti dall’US Geological Survey (USGS), indicano che lo spostamento relativo dei due blocchi della faglia è avvenuto principalmente al di sopra dell’ipocentro, ma non ha raggiunto la superficie del fondale marino in modo significativo.
Questo punto è cruciale: anche se un terremoto avviene in mare, se il movimento della faglia non riesce a deformare in modo sostanziale il fondo marino, non si innescherà uno tsunami. La conformazione della faglia, la direzione e l’ampiezza del movimento sono quindi elementi chiave per comprendere la mancata formazione di onde anomale. Inoltre, la complessa interazione tra la faglia e la superficie del fondale può essere influenzata da molteplici fattori, tra cui la composizione delle rocce coinvolte, la presenza di strutture geologiche preesistenti e le caratteristiche del sedimento marino, tutti elementi che possono ulteriormente limitare la trasmissione dell’energia sismica verso la superficie.
Meccanismo focale e spostamento della faglia
Il meccanismo focale di un terremoto, che rappresenta la configurazione geometrica del piano di faglia e la direzione del movimento che ha generato il sisma, fornisce informazioni cruciali per comprendere l’impatto che il terremoto può avere sulla superficie terrestre e sul fondo marino. Nel caso del terremoto di Kamchatka, il meccanismo focale e i dati sullo spostamento della faglia, ricavati dall’analisi sismologica, indicano che il movimento sismico è avvenuto in una porzione di faglia situata al di sopra dell’ipocentro, ma che non ha raggiunto con forza sufficiente la superficie del fondale marino per provocare uno tsunami.
La proiezione in superficie della faglia, come mostrato nei modelli pubblicati da USGS, evidenzia che il movimento della faglia ha coinvolto una porzione che, pur estendendosi al di sopra dell’ipocentro, è rimasta confinata a una profondità tale da non poter generare una deformazione significativa del fondale marino. Le frecce nere e rosse presenti nelle figure, che rappresentano rispettivamente gli spostamenti orizzontali misurati dai dati GNSS (Global Navigation Satellite System) e quelli calcolati dai modelli sismologici, mostrano un movimento orizzontale relativo tra i due blocchi della faglia. Tuttavia, questo movimento non è stato sufficiente per creare un sollevamento o un abbassamento significativo del fondo marino, elementi che sarebbero stati necessari per innescare un’onda di tsunami, come spiega Alessandro Amato, esperto INGV, in un post su Facebook.
Questo aspetto è ulteriormente complicato dal fatto che, nei terremoti sottomarini, il tipo di movimento della faglia può influenzare notevolmente il rischio di tsunami. Nel caso di Kamchatka, sembra che il movimento sismico sia stato principalmente di tipo compressivo, con una faglia inversa quasi pura. Questo tipo di movimento, in cui uno dei blocchi della faglia si spinge sopra l’altro, può generare uno tsunami solo se il movimento coinvolge una parte significativa del fondale marino. In questo caso, però, il movimento è rimasto confinato a una porzione di faglia che non ha raggiunto la superficie del fondale marino in modo tale da deformarla significativamente.
Analisi della Faglia: differenze con i modelli precedenti
L’evoluzione della comprensione della dinamica del terremoto di Kamchatka ha rappresentato un elemento chiave nella spiegazione della mancata formazione di uno tsunami. Inizialmente, i modelli proposti dall’USGS suggerivano una configurazione della faglia con un’inclinazione di 65° verso sud-est, un piano di faglia che si immergeva profondamente al di sotto dell’ipocentro, tra i 25 e i 40 chilometri di profondità. Questo modello iniziale rifletteva un’ipotesi in cui il movimento della faglia sarebbe stato confinato a una regione più profonda, riducendo così il potenziale per generare uno tsunami.
Tuttavia, con l’acquisizione di nuovi dati GNSS, che hanno permesso una migliore definizione della deformazione superficiale, l’USGS ha aggiornato il modello, identificando il vero piano di faglia come uno che immerge verso nord-ovest con una pendenza di soli 19°, corrispondente quindi al piano di subduzione della regione. Questo cambiamento di modello è significativo perché implica che la faglia è legata al processo di subduzione della placca del Pacifico sotto quella dell’Eurasia, un processo che avviene a profondità minori rispetto a quanto inizialmente ipotizzato.
Il nuovo modello ha confermato che il movimento della faglia si è verificato principalmente in una porzione di faglia che, pur essendo meno inclinata, non ha raggiunto con sufficiente intensità la superficie del fondale marino. Questo movimento è stato caratterizzato da spostamenti massimi intorno ai 2-3 metri, un valore significativo ma insufficiente per causare un sollevamento o un abbassamento del fondale marino in grado di generare uno tsunami. Questo processo di aggiornamento dei modelli, reso possibile dai progressi nella raccolta e nell’analisi dei dati GNSS, sottolinea l’importanza di una continua revisione e verifica delle ipotesi iniziali, specialmente in contesti sismologici complessi come quello di Kamchatka.